Fino all'ultimo respiro

Recensione VIII
Come anticipato al termine della visione, non è facile ciò che mi accingo a fare e, per questo motivo, mi aspetto un contributo da TUTTI i presenti all'8a serata, dove è stato proiettato "Fino all'ultimo respiro", pellicola che segno l'esordio alla regia, nel 1960, di Jean-Luc Godard. 
Personalmente (SIEMPRE!), non ho trovato il film perfetto. Parto da quest'affermazione per giungere ad una conclusione che conosco già: non vi preoccupate.
Ho giudicato il film particolare e non il regista "universale". Perchè è indubbio il seme di una regia che negli anni germoglierà, dando frutto ad uno dei più grandi della nostra amata Arte.
Regista del dialogo più che dello sfondo (almeno in questo suo primo lungometraggio, come nel corto visto); ritmi incalzanti e parole che scavano, batti e ribatti, martello pneumatico che lascia il segno. L'ambientazione si muove tra una stanza ed una trentina di metri degli Champs Elysee. Niente male il risultato del tutto.
I miei dubbi riguardano lo srotolamento della trama. In pratica succede poco o nulla: uno spavaldo scapestrato (un ottimo Belmondo), ma in qualche modo affascinante, vive alla giornata, tacchina pulzelle qua e là, e quando la corda è troppo tirata (fa fuori un polizotto, perchè inseguito accidentalmente) dovrà fare i conti con ciò che si è lasciato dietro, bava di cambi d'identità, di furti e menzogne.
Ed è proprio durante questa latitanza che trova rifugio nell'appartamentino di una ragazza americana, che vende giornali sugli Champs per pagarsi la Sorbonne.
Con lei mette in atto un corteggiamento audace e costante, che viene corrispoto in maniera tratteggiata.
La ragazza è più simile a lui di quanto sembri. I due non sono sovrapponibili solo per la differente inclinazione di alcuni lati. E' solo questo il motivo per cui alla fine lei tradisce il ragazzo rivelandone la posizione alla polizia. Nei dialoghi lei sembra rivelare maggiore maturità e realismo...ma a pensarci bene lei si iscrive e partecipa allo stesso gioco del ragazzo.
Il suo vivere alla giornata la porta a parlare di Sorbonne, di andare a letto con un bisunto redattore, di farsi alzare la gonna dal protagonista (e non mi dite che quello schiaffo era sincero! forte sì).
Stop. La trama finisce qui.
Ma, come spesso capita (o dovrebbe capitare!), un'analisi, un riavvolgimento della "pellicola grigia", porta ad una revisione del giudizio iniziale: è un film travolgente, che scorre proprio come il protagonista nel suo "girare girare" senza meta tra rue et avenue...
Ma una meta il film ce l'ha, conduce al disagio di chi non s'incastra nell'ingranaggio sociale, e RIMANE. Rimane a bazzicare in strade, imbattendosi in vetrine in cui Humphrey Bogart mostra il suo sguardo ammaliante, suggerisce le mosse da imitare se si vuole essere un hollywoodiano sciupafemmine...
Il risultato è volutamente maldestro: le labbra di Jean-Paul Belmondo sono ripetutamente percorse dal dito, a mo' di pubblicità della Martini...
I casi dono due: o davvero a quei tempi il gesto era apprezzabile quanto ricercato, oppure la mia lettura è esatta.
Anche le avance del ragazzo sono un mix di galanteria e di pacche sul sedere...un classico del bullo di periferia, se vogliamo.
E questa sensazione di impalpabilità delle intenzioni e dei progetti è costruita dal regista in maniera perfetta. Il massimo a cui si spinge il protagonista è una chiamata ad un tizio che gli deve (?) dei soldi. Quindi il viaggio in Italia rimarrà incompiuto. Ma, escluso la realizzazione sotto-lenzuola con l'americana, cosa non lo è nella vita del giovane francese? Il quale risulta davvero un "zombie metropolitano".
Personaggi come questo ne conosciamo a bizzeffe, e grazie a film come questo, ricordiamo loro e le loro cause. Realizzando quale sia la profonda crudeltà di una società che li crea proprio per fornirsi la ragione della propria esistenza.
C'è poca differenza tra una condanna a morte e la costruzione di tali caratteri.
Qui forse sto esagerando. Ma non è (solo) colpa mia: se il film termina con la parola "schifo"...un motivo ci sarà!
(depa)

8 commenti:

  1. Io non c'ero! Me lo guarderò in solitaria....
    Albert

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  2. Tigre wrote: Ecco a voi l'editoriale più completo, complesso e atteso della breve storia del nostro cinerofum.

    Non c'è niente da aggiungere, tranne il perfetto assist del Depa (........hhhmmm stava per uscire ma con uno scatto felino l'ho presa).

    Il film si conclude con la parola Schifo. Precisamente il protagonista dice: é prorio uno schifo.

    Cos'è proprio uno schifo? L'imminete morte, il contesto in cui essa arriva, la sua vita, la società parigina dell'epoca, gli sbirri oppure la ragazza americana che lo tradisce??????

    A mio parere Belmondo si riferisce a tutto questo tranne al tradimento della ragazza. Io mi trovo perfettamente daccordo con lui. TUTTO FA CAGARE. Un'altra considerazione, se mi permettete, è che a tutto questo schifo, a tutta questa merda, si aggiunge l'entropia introdotta da terze persone che non sono a conoscenza delle vicissitudini dei reali protagonisti della vicenda e nonostante questo parlano mettendo in bocca ad altri parole mai pronunciate. Se ci pensate succede tutti i giorni.

    Comunque a me è piaciuto molto. Fa pauraaaaa....!!!!

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  3. Anticipo già un punto che verrà toccato dai compagni di cinerofum: l'incomunicabilità tra ragazzo e ragazza è meno pronunciata che nel corto (estremizzata!) e, come scritto in precedenza, secondo me è solo formale e non sostanziale.

    Puntino: nel trailer originale del film, il protagonista viene etichettato come "un anarchiste", da questo particolare si intuisce come il regista interpreta l'interprete.
    (sempre che al trailer partecipi il regista! o è frutto dei distributori, produttori o chicchessia...ANZI, ricerca per casa, Titolo: "Presentazione: il regista l'ha vista?")
    E' lui l'esempio tangibile di come si possa voler inficiare Dio e Stato

    Molti gli spunti durante e dopo la visione del film. Quelli durante sono (e DEVONO) essere personali, quelli postumi sono collettivi.

    Secondo puntino personale: durante il film ci sono scene che io definisco "coraggiose" per contenuto (all'inizio, il protagonista saluta malamente una ragazza per strada) o per modalità (riprese...), e percorrendo raccordi anulari del mio cranio sono giunto ad una conlcusione: un gran regista è un regista coraggioso.
    La dote che determina la grandezza di un regista è il coraggio.
    Più ci penso (e non è la prima volta), più ci credo.
    Il regista che non osa, in nessuna direzione, è pasta insipida.
    E tenete conto che questa mia affermazione trova riscontro anche con ragionamento deduttivo.
    Tutti i più grandi (nessuno escluso), applicano coraggio a proprio modo.
    Non esiste un gran regista che sia bacchettone con la cinepresa.
    Pensate ad un film "mattone", pensate ad un regista il cui nome vi fa venire in mente una mummia impolverata...beh, cari miei quello invece è un film che è mattone perchè crea ed eleva e non perchè pesa ed ingabbia.
    Ah! peso...mi viene in mente un certo brano tratto da "L'Insostenibile Leggerezza dell'Essere"...prime pagine.

    Terzo puntino (sono sempre tre, verificate), collettivo : il doppiaggio.
    Esempio:
    Belmondo dice - "...qui agli Champs",
    l'americana, "secondo il doppiatore" risponde - "Cosa?",
    secondo la sua voce - "Che Champs?". La differenza semantica è marcata.
    Quindi?
    Abbiamo fatto una bella ramazzata nella stanza del doppiaggio. Interessante. Sono uscite parole come: distorsione, personale, Pivano, voluto, errore...la porteremo avanti. Ma tenete conto di questa pulce quando in futuro vi berrete un whiskey sentenziando che "preferisco in italiano, poichè se leggo i sottotitoli perdo qualcosa della fotografia."

    Fiùùù...anima e corpo.
    Alla prossima.
    depa

    Dai ragazzi, concedetemi un inciso: ieri sera io ed Elena abbiamo visto "La Classe Operaia Va In Paradiso" (1971), Elio Petri, con Gian Maria Volontè. Bellissimo. Disarmante, Angosciante (in quanto), Vero. Un Volontè che, nella scena in cui davanti al microfono ed ai colleghi all'interno della fabbrica (primissimo piano), stila un manifesto dell'arte teatrale.
    Da vedere e recepire, da respirare. Se l'avete visto possiamo lanciare un editoriale straordinario, sennò aspettiamo che ci siano tutti.
    http://it.wikipedia.org/wiki/La_classe_operaia_va_in_paradiso

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  4. Apix wrote: "tra un pò la mia...
    ma prima di tutto ne approfitto per un tackle ed evito anche l'angolo rifugiandomi in fallo laterale...
    di Petri mi sono folgorantemente innamorato l'anno scorso e mi sembra d'uopo completare
    la percezione dell'immensità della sua opera con l'altro capolavoro gemello, con protagonista
    sempre il suo fenomenale feticcio Gian Maria Volontè:
    "Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto"
    io lo rivedo con piacere, facciamo che è il prossimo?

    'pix"

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  5. Apix wrote: "Stavo aspettando il LA del direttore artistico, ma dato che nicchiava ...
    mi stavo già apprestando a scrivere la mia che adesso propongo
    integrata dal risultato degli stimoli ricevuti dal Depa a cui colgo
    l'occasione per manifestare la mia comprensione più profonda,
    e ammirazione smisurata per l'essere riuscito a "tirar fuori" un editoriale
    denso profondo e ricco, da un film, sostanzialmente difficile
    perchè si portava dietro attese di valenza epocale.
    GRAZIE.

    mi scuso da subito di non essere capace di una sintesi e una coerenza strutturale,
    soprattutto se scrivo di soppiatto rubando attimi al lavoro d'ufficio,
    e non mi senta particolarmente in forma.

    comunque, la mia:

    "Ma poi, che cos’è un nome?…
    Forse che quella che chiamiamo rosa cesserebbe d’avere il suo profumo se la chiamassimo con altro nome?
    Così s’anche Romeo non si dovesse più chiamar Romeo,chi può dire che non conserverebbe la cara perfezione ch’è la sua?
    Rinuncia dunque, Romeo, al tuo nome,che non è parte della tua persona, e in cambio prenditi tutta la mia."

    Beh, io dico che se la rosa si chiamasse Zazzam forse gli amanti di tutto il mondo sarebbero più propensi alla risata
    o magari addirittura al suo posto il simbolo d'amore per eccellenza sarebbe il ciclamino...
    o peggio ancora se la rosa avesse un nome composto come girasole e si chiamasse che ne so rossodispine, che percezione
    ne avremmo???

    Lungi da me sminuire un capolavoro letterario, della cui universalità ho avuto prova 10 giorni fa quando
    queste stesse parole sono state utilizzate a teatro nella rappresentazione di DelBono per significare
    che una morte bianca, non è una poi una Morte e la sua drammaticità è meno carica di un'altra?

    Ma insomma, come strillava Moretti in palombella rossa "le parole sono importanti!";
    importanza che si manifesta in forte relazione col sistema/linguaggio in cui sono usate.

    Una premessa è una premessa, ma dove voglio andare a parare? (attenzione al colpo di reni)

    Al fatto che un pò in ogni dove avevo letto che il film di Godard fosse passato alla storia
    per aver rivoluzionato il linguaggio cinematografico, linguaggio le cui derivazioni sono
    per me, spettatore di un secolo successivo quasi degli assiomi, delle assunzioni narrative
    già parte del mio bagaglio ricettivo.
    Quindi, forse, è comunque necessario uno sforzo, non affidarsi al linguaggio, ma forzarsi
    nel metalinguaggio, parlare di questo film parlando di cinema, pur ben conscio che
    in realtà non ne avrei la cultura storica per farlo davvero, ma siamo tra amici, quindi
    prendo qualche spunto letto in rete e ci ricamo un pò... :-P

    Da quel che ho capito prima della nouvelle vogue il cinema, i film erano colpi dichiarati,
    come l'otto in buca d'angolo, quelli dei fratelli Marx erano comico-surreali, di Bergman
    drammaturgicamente introspettivi e così via...
    Godard invece, gioca in quelli che, perdonatemi la reiterazione, chiamo metalinguaggi, il cinema
    che parla al cinema (il mondo attorno ci suggerisce, ritmandola la tragica fine del protagonista)
    e agli spettatori stessi (Belmondo in macchina a inizio film), il cinema fa outing, dice, sono cinema
    e gioco con me stesso, volete giocare con me, strappandosi quindi alle regole di canonizzazione
    precedenti. Nello scanzonato Belmondo che ci guarda e parla col tono del "perchè no?" ci sono, forse,
    le radici di tanto di quel Cinema con la C maiuscola "di dopo" che mi è capitato d'incontrare, di quando giocare
    sarà già una cosa seria.
    Mi viene facile pensare ai tanti monologhi di protagonisti rivolti
    a una platea fantastica che invece stanno rivolgendosi a noi, istantaneamente attori e spettatori.
    Per fare un esempio colgo l'assist mattutino del Gian Maria Volontè davanti ai microfoni della fabbrica (La classe
    operaia va in paradiso) e non casualmente di nuovo davanti a un microfono in occasione della
    conferenza stampa di "indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto", che si sta rivolgendo
    a chi non altri che a noi."

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  6. Apix wrote (part II): "Poi non sottovalutiamo che il film è stato vietato ai minori e la sua opera successiva addirittura
    censurata per 4 anni, il nostro direttore aveva parlato di coraggio necessario?
    chissà se furono i temi o il disagio di un linguaggio nuovo, diverso nel trattarli a impaurire di più?
    Riguardo al resto mi abbraccio al Depa editorialista, con tutto che va dal condivisibile all'illuminante.
    Aggiungo solo una nota a margine sulla spietatezza del regista.
    Il protagonista è condannato socialmente, umanamente e più di ogni altro è un morto in libera uscita,
    per giunta anche fortemente condizionata.
    La protagonista è assoggettata a delle ambizioni pro-forma.
    Nessuna pietà per tutti e 2 quando lei rientra dalla strada e dai suoi propositi ma rinuncia a
    riscattare sè stessa con un atto di autocoscienza, di appartenere alla triste svagatezza di lui,
    e allo stesso condanna il ragazzo stesso a morte, e tutto per cosa?
    Per una stupida, semplice risposta stizzita e strafottente di lui a lei sull'uscio.
    Godard batte il martelletto e a loro spetterà di scontare la pena del ruolo di immaturi e
    inadeguati al mondo.
    Riguardo alla sala Spumador, ringrazio e rilancio sia stata pensata proprio per questo tipo di
    condivisioni, quindi grazie a voi tutti di averla riempita, basta davvero una dose minima
    d'impegno di fronte a questi Voi, premesse e condizioni di piacevolezza.
    GRAZIE a tutti per tutto (sia materialmente che non)
    Apix
    P.S.: un maaooo da leon, Picchio dorme."

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  7. Elena wrote: "anche io non posso fare altro che ringraziarvi...un po' per tutto.
    dagli splendidi editoriali, che mi fanno apprezzare anche un film che inizialmente aveva smosso ben poco i miei neuroni, sia
    per questo approccio così divertente ( ed oramai tappa immancabile delle nostre settimane ) ai film d'autore.

    Un bacio affettuoso a Leon e Picchio! :D

    Superba la visione di un film in bianco e nero proiettato in sala Spumador,
    dove per leggere i sottotitoli devi fare slalom tra un orecchio e l'altro di un micio che si crogiola su un termosifone

    Alla prossima!!"

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  8. Che stupido! mi sono dimenticato l'appunto mentale preso ad inzio film!
    Ovviamente da innalzare come gesto coraggioso del regista (nel recinto di un certo tipo di cinematografia) è proprio quel Belmondo che, in auto, si rivolge al pubblico interrogandosi se sia il caso di raccattare quelle tizie a bordo strada (di cui una fa schifo, l'altra ha una bella coscia...ma è una cozza anch'essa).

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