Extra: L'albero degli zoccoli

Tun! "L’albero degli zoccoli" di Ermanno Olmi. Film del 1978, vincitore della Palma d’Oro al Festival di Cannes. Sono tre ore ben fatte. Ambientato alla fine dell’Ottocento nella campagna bergamasca, racconta un anno di vita di una piccola comunità di contadini. Il film è girato interamente con attori non professionisti, dialoghi improvvisati tutti rigorosamente in dialetto bergamasco. Appunto per questo consiglio di vederlo con sottotitoli annessi…e connessi. Gli attori sono veri contadini; questo si vede dall’abilità che hanno nel muoversi in quell’ambiente. Arano la terra con cavalli, trasportano sacchi di granturco dal peso dell’ordine del quintale, ammazzano il maiale (scena a me molto cara).
Sembra che dall’epoca del film siano passati mille anni, sono cambiate molte cose. Infatti, allora per sposare una ragazza bastava prima chiederle il permesso di dirle solo buonasera e poi con calma senza inviti a cena o diamanti solitari del cazzo, si convolava a giuste notte. Il motivo di tanta fretta per sposarsi era…l’irresistibile voglia di cimentarsi in copulazioni sfrenate. Ad ogni modo io ho visto delle forti analogie con il nostro mondo odierno. Una volta c’erano le cascine in cui vivevano e lavoravano le famiglie di contadini (stile Novecento di Bertolucci), questi contadini si relazionavano con il fattore il quale interagiva con il PADRONE. Pian piano la cascina è diventata fabbrica, i contadini sono diventati operai, il fattore è diventato il capo reparto e il PADRONE invece è rimasto PADRONE. Sto divagando troppo.
Il film può essere visto anche come una sorta di “documentario” sulla cultura della terra. Può sembrare una minchiata ma le cose da sapere sono tante. Olmi nel raccontare tutto questo mi è parso molto delicato e oserei dire anche ecclesiastico. Si respira nell’aria una forte religiosità. Si prega molto, anche perché i rappresentati del supremo sono vicini concretamente alle persone. “Religione: L’oppio dei poveri”.
(Ossy)

2 commenti:

  1. Grazie Tigre per l'opportunità.
    Molto bello questo film in cui il regista ci racconta con realismo e poesia la vita della sua terra, un centinaio di anni prima. Non fidatevi di chi vi racconta la trama di questo film, l'operazione è priva di senso. Qui non c'è alcun canovaccio da srotolare, è la vita di campagna nuda e cruda, rappresentata con delicatezza da attori non professionisti. Alcune scene sono commoventi (i bambini lavati in un piccolo secchio d'acqua calda, il ragazzo accolto nel mulino di un amico del padre scomparso), ma non perchè rappresentino miseria, anzi! Perchè ci si accorge di quanto si è disperso negli anni; la genuinità dei sentimenti (nonchè dei prodotti della terra) arriva a colpire il nostro cuore ormai abituato solo a respingere con tintinnante armatura. Quindi non pena, ma rimpianto.
    Le tre ore del film scorrono veloci, perchè il volo in quei tempi ed in quella terra è esaltante più di una sparatoria a Manhattan. Stupendi i dialoghi da cui attingere per trarre insegnamenti evergreen. La campagna è stupenda, e l'uomo, lì immerso, non corrompe, anzi, rafforza un'atmosfera di reale benessere (con la schiena spezzata, ovvio). La cascina è un mondo a parte che il regista ci mostra con maestria.
    Personalmente non ho notato negli sguardi dei due giovani promessi sposi una grande fretta, mi piace pensare che ci fosse davvero un sentimento sincero, perchè sennò dai...guardiamoci American Pie VII.
    Film da far vedere a qualche ragazza-spola di Via XX (o Vittorio Emanuele).
    Sottotitoli obbligatori per chi non fa colazione con polenta.
    Davvero, più profondo di quanto ci si aspetti.

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