Extra: l'educazione di Hornby

Ciao 'rofum, ieri sera io ed Elena abbiamo visto ai chiostri di Santa Barnaba "An education", della regista Lone Scherfig, del 2009. La cinquantenne danese fu discepola della scuola danese, fondata nel 1995 dai due registi Lars von Trier e Thomas Vinterberg, i quali predicarono, detto sinteticamente, la rinuncia a tutti quegli artifizi ed orpelli che, a loro detta, stavano conducendo la settima arte verso l'impossibilità di raccontare le intime sensazioni (ancor meglio se accompagnate da una qualche sofferenza) dell'essere umano dei giorni d'oggi: la luce dev'essere quella naturale (se non una lanternina sulla telecamera...), i colori devono essere quelli reali (senza elaborazioni post-produzione), insomma, gli effetti speciali hollywoodiani sono l'aglio per questi "Nosferatu" di Copenhagen. Una sua applicazione di questi dettami fu il #dogma12 ("Italiano per principianti"), che ne dite di un extra apposito?
Ma torniamo a questo "An education". Il punto di forza di questo film dovrebbe essere la sceneggiatura, dello scrittore inglese Nick Hornby ("Febbre a 90", da cui è stato tratto il film di David Evans, che ci racconta la dipendenza di un tifoso londinese per la maglia dell'Arsenal), ed invece, capita quello che non ti aspetti. Il primo tempo mi ha intrattenuto come pochi ultimamente, scorre veloce, un sorriso qua, un fiato sospeso là, ho rincorso i fotogrammi per capire cosa sarebbe capitato. E la regista, a mio parere, riesce benissimo a star dietro alle idee di Hornby. Evidentemente dimenticato il decalogo del "Dogma95" (ormai decaduto ufficialmente dal 2005), la Scherfig rende i colori in maniera definita, quindi perciò un po' falsa, per consegnarci una Londra tutta pietra e prato ben tagliato, vernice bianca e salotto vittoriano un po' impolverato. Il risultato è un ottimo coinvolgimento. La trama è interessante, sostenuta anche da attori con volti accattivanti e mimiche azzeccate.
Nell'intervallo c'è soddisfazione nella sala sotto le stelle...poi arriva il secondo tempo.
Shock: dopo meno di mezz'ora il film finisce senza aver mantenuto le promesse, senza aver sorpreso nessuno (se non paradossalmente: "Non può essere finito così").
Qui di imputabile alla regista c'è poco. Lei ci racconta quello che Nick le ha detto.
E se Hornby non ha paura di terminare il racconto cadendo nella banalità e, molto peggio!, correndo il rischio di spiegarci una morale insostenibile...beh, la danese non può mica gridare "STOP!", gettare il megafono, alzarsi dalla sedia ed abbandonare il set nell'incredulità generale...o forse sì?
Davvero, il film alla fine si sporca tutto il vestito di pasta al sugo, anzi, di fish&chips...:
- non perdere la retta via (studio costante, "se si vuole arrivare ad Oxford!") con distrazioni e divertimenti;
- Parigi è il simbolo della corruzione dei costumi, qui ad Oxford ti sarà data la possibilità di rimediare ai danni subiti in continente;
- prova pure a passare un periodo "fuori dai binari", vedrai che te ne pentirai, e ritornerai all'ovile.
- i genitori, seppur sbagliando vogliono il bene dei propri figli, nessuno più di loro può aiutarti.
Quello che voglio dire è che, se anche questi non fossero stati i messaggi consapevoli di regista e sceneggiatore (soprattutto), è impossibile pensare che non si siano accorti che erano tali le conclusioni della pellicola.
Il film è da vedere perché è gradevole (la figura paterna, Alfred Molina, è molto spiritosa; la bella e stupida, Rosamund Pike, è...realistica; anche se, o forse proprio perché, nella realtà si è laureata proprio ad Oxford con lode), se lo si fa senza aspettarsi NULLA dal finale è meglio. Siete avvantaggiati.
(depa)

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