Sono innocente

Recensione XXXXIV:
Cinerofum tartufato ieri sera in sala Uander. Pochi intimi (Io, Tigre & Doris) per una tagliatellata d'autore, grazie Doris, e per una proiezione di altissimo livello: "Sono innocente" di Fritz Lang, 1937. Attore protagonista, Henry Fonda (il Tom Joad visto di recente, tra gli altri). Questo film appartiene al "periodo hollywoodiano" della filmografia del regista austriaco. La domanda quindi: si percepisce questa "appartenenza"?
A tratti sì, a tratti no. Risposta facile-facile che rende tutti (mezzi) contenti. Credo che l'abilità di Lang in questo film sia stata proprio quella di mantenere il suo gusto per le geometrie, fondendolo con il bisogno, tutto hollywoodiano, di mantecare il prodotto finale. In "Sono innocente", ufficialmente, lo scenario è quello di un amore indistruttibile che non cede un metro agli attacchi di una giustizia pasticciona; ma a ben guardare sullo sfondo c'è un'intera umanità, dipinta in scala di grigi cupa, che ai soprusi di una giustizia (con la 'g' minuscola e più piccola che il vostro editor permetta) non riesce a sottrarsi. Che sia un datore di lavoro prepotente, che sia un'opinione pubblica superficiale, bacchettona e spregiudicata. Parole dure quelle del regista: la funzione carceraria cede di schianto perché poggia su di un'impalcatura traballante, il sistema giudiziario, che dietro alla facciata di integrità e rigore sommi, commette strafalcioni come l'ultimo degli impiegatucci. Ma i protagonisti non vogliono piegarsi; Eddie Taylor (Fonda), anche se "inutilmente", anche se senza speranza, continua a camminare, sostenendo il corpo dell'amata ormai spacciata, verso la cima della collina, sta ormai lottando per il concetto più alto di Giustizia; è lui che, con quell'ultimo gesto, pone le virgolette agli estremi della parola "inutilmente". A lui non frega proprio nulla che, come gli grida il titolo originale, "You only live once"! Se non a lui, il suo gesto servirà ai prossimi; un po' come ragionano tutti di 'sti tempi eh, sì sì...ce n'è una sola, cavolo! Ma proprio per questo non dobbiamo buttarla: cioè venderla, svenderla, elemosinarla.
Se, dopo aver visto "Metropolis" (nella versione moroderiana), avessimo avuto ancora dubbi sulla capacità espressiva della cinepresa nelle mani di Lang, ora sappiamo che cosa può essere un noir girato da questo regista. L'inquadratura della cella in cui Eddie aspetta la propria esecuzione è un gioco di prospettive che spedisce lo spettatore dritto-dritto dietro le sbarre, con senso di soffocamento annesso.
Inoltre, la scena della fuga dal penitenziario, utilizzando un ostaggio, in cui perde la vita il prete di cui Eddie si fidava ciecamente, è uno splendido esempio di, come la definirebbe il Tigre, "'na cazz'e situazione". Cinematograficamente molto d'effetto. E' chiaro che, in quei momenti, in sala non volerà una mosca.
E' di Fritz Lang, è da vedere.
(depa)

ps: c'è da dire che Eddie potrebbe anche stare un po' più calmino...

1 commento:

  1. Eddie sei stato tu? ...No e allora! Vai là e dici: Ragazzi io non so niente, ero davanti al Rattazzo, stavo bevendo delle birrette, un tipo mi ha rubato il cappello, sono scoppiati i fumoggeni e poi mi sono ritrovato qui in preda al panico.
    Ovviamente non poteva farlo, troppi precedenti.

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