L'ultimo metrò

Adunata XXXXVII:
"L'ultimo metrò" di François Truffaut, 1980. Secondo film, presentato in veste "ufficiale", del regista francese. In sala Uander l'attesa è incontenibile: Io, Elena, Albert Aporty, Tigre, Doris, Tommy & Peco, Paoletta (*new!) e...a metà film, dritto dritto dall'ufficio, il mitico Albert Monzy. Con una mezz'oretta di ritardo premiamo la "x" e si parte, destinazione Cinema, frazione Francia 1942, occupazione nazista.
Questo film ha una ventina d'anni "in più" rispetto a "I quattrocento colpi" (1959), ed è il terz'ultimo del regista. Ci mancano le fasi intermedie, quindi, ma abbiamo la possibilità di cogliere la maturazione del regista a granularità grossa, brutale.
Posso partire dalle sensazioni finali degli spettatori? Ma sì, dai. La prima reazione è un'insoddisfazione sparsa: c'è chi accusa il film di inconsistenza, chi ne sottolinea la lentezza.
Niente di più falso...BOOOOOOOM!
Eh, lo sapevo...calma, calma, lasciatemi spiegare. Innanzitutto è stato l'unico film durante il quale la mia palpebra superiore ha mantenuto tutto il suo carisma. E non è poco. Inoltre questo film è pieno di ritmo: con l'ausilio di colonna sonora azzeccata (si sente che è un "discepolo" di Hitchcock), e un'atmosfera tenebrosa e claustrofoboica. I fatti narrati sono illuminati solo quando i protagonisti salgono sul palco del piccolo teatro della Parigi occupata; quando scendono dallo stesso è penombra, oscurità che tutto nasconde, sterilizza, omologa. Occhi di lince ovunque, le spie proliferano: siamo pur sempre uomini!
Spezzo due lance a favore dei delusi: anche io ho avuto la sensazione di non aver colto qualcosa, tutto il senso (nell'accezione più ampia del termine) del film. Ma poi ci ho riflettuto un po' la notte stessa, poi il giorno dopo etc...E, con l'aiuto di riflessioni e spunti raccolti qua e là nella Grande Rete, sono arrivato a rivedere l'opera vista assieme con più chiavi di lettura, presentandomi all'ingresso del film per ristudiarne i cunicoli sino ad ora rimasti celati. La seconda lancia è quella più potente ed affilata: che il film soffrisse di impalpabilità se ne accorse per primo, durante le riprese e a lavoro compiuto, lo stesso regista; il quale si stupì parecchio del grande successo del film quando uscì nelle sale d'oltralpe. Il motivo dell'ottima affluenza nelle sale, probabilmente, è da ricercare nel significato patriottico del film (in particolare dell'indimenticabile personaggio di Depardieu).
Il film è, comunque, formalmente perfetto. Una Deneuve rimasta "Ibernata di giorno", trova qui un'altra bella ma "di notte".
Accademia d'alto livello, quindi da studiare anche se leggermente pedante ("Dai, belìn, François, l'hai detto anche tu, su...!")
(depa)

1 commento:

  1. Finalmente c'è l'editoriale.
    Sono d'accordo con l'espressione "Il film è formalmente perfetto", provate a fare un film, oppure solo a pensarlo, in cui per circa due ore non accade nessun fatto eclatante, nessuna esplosione, niente sparatorie, niente di niente, ma nonostante queste assenze, lo spettatore è in continua tensione. Non è una cosa semplice.
    Prendo spunto dalla velata citazione fatta dal Director (Bella di giorno - Bunuel) per riempire queste ore da trascorrere sul mio divano e svelare il mistero che c'è dietro la frase "Quell'oscuro oggetto del desiderio". Quale sarà codesto oggetto?????

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