Extra: Ogro...altro che padania.

Dopo la piacevole scoperta, che, come tutte quelle migliori, è avvenuta semplicemente per caso, di un grande regista italiano, Gillo Pontecorvo, non posso esimermi da scrivere almeno una recensione. Dico almeno una poiché sarebbe molto bello leggere qualcosa dei suoi film, scritta da qualcuno che abbia un'ottima padronanza di argomentazioni storiche. Purtroppo, non avendo questa competenza, mi limiterò a parlare dal punto di vista cinematografico. (questa ce l'ho? ... ehh si.)
Il primo film del regista che ho visto è stato "La battaglia di Algeri", scovato nelle classifiche dei migliori film secondo la critica: assolutamente superlativo. Poi è stata la volta di "Kapò", ambientato in un campo di concentramento polacco: anche in questo, il regista conferma tutto il suo stile. Ieri sera è toccato a "Ogro", film del 1979. 
La pellicola, di 113 minuti, racconta i fatti avvenuti tra il 1973 e il 1978, concentrandosi soprattutto nel periodo intorno al 20 settembre '73, data nella quale avvenne l'uccisione dell'ammiraglio Luis Carrero Blanco, capo del governo spagnolo. Gli esecutori dell'attentato, uno dei quali, nel film, è Gian Maria Volonté, sono quattro rivoluzionari appartenenti all'organizzazione terroristica basca (ETA). Il film scorre beatamente, offrendo allo spettatore una continua ed elevata tensione (alta tensione zZz). Come nei precedenti due film citati, anche in Ogro c'è lo "schema Gillo", cioè: il film inizia direttamente con una scena, grazie alla quale lo spettatore capisce subito l'ambientazione e di cosa si vuol parlare; poi partono i titoli di testa accompagnati da una musica azzeccata (Ennio Morricone). Gli avvenimenti sono raccontati in maniera molto cruda e diretta, senza tanti fronzoli, come piace a me. Questa caratteristica è presto spiegata: il regista, infatti, ha al suo attivo più documentari che film (11 documentari, 5 film e 3 cortometraggi).  Il documentario va a braccetto con la storia, ed ecco il perché dei suoi film su questioni storiche di elevata importanza. Personalmente consiglio la visione dei suoi lavori, sia perché sono fatti benissimo dal punto di vista cinematografico e sia perché la conoscenza non fa mai male.

P.S.: lo sapevate che in Spagna la dittatura fascista di Franco è terminata solo nel 1975? Paura.
Ossy

1 commento:

  1. Davvero bello questo film: grazie Taigher per lo spunto. Pontecorvo che assolda Volonté, la Molina (due anni dopo “Quell’oscuro oggetto…”) e Morricone. Si va sul sicuro. Poi c’è anche Saverio Marconi che il ‘Rofum ha conosciuto grazie ai Fratelli Taviani (“Il prato” e “Padre padrone”). Cinema Grande Famiglia insomma.

    Il film è uno stupendo e drammatico discorso, imbastito con eleganza, ritmo e decisione dal regista pisano, qui al suo ultimo e maturissimo lavoro.

    Parole che pesano, impregnate di politica e, quindi, di vita (e morte).

    Se solo ci si ferma a pensare “Quant’è facile corrompere la gente; basta un po’ di benessere per addormentare le coscienze!”, “Tutti in campagna, tutti alla partita…” viene da dire “…tutti a farsi fottere!”. Tutte considerazioni che complicano: rendono più nebuloso il confine tra lotta giusta e lotta sbagliata, tra lotta vincente e fallimentare, di tanti per tutti, di pochi per nessuno.

    “Ogro” è un quadro realistico di come certe cose vanno (l’episodio degli operai al cantiere edile), la curiositas e l’indignazione s’incontrano e ci spingono; da quel momento può succedere tutto, da quando il tempo è quello della rabbia, il clima è quello della tensione, il mezzo quello della repressione.

    Il regista, come detto, intavola, un discorso profondo, ponendo, se non tutte le carte (sarebbe impossibile nelle quasi due ore di pellicola), quelle “portanti”, le più dirette sì, ma anche le più tristemente taciute da un cinema codardo e frivolo = vuoto.

    Se alcuni urlano “Neanche ora c’è libertà!”, “Sì, è cambiato qualcuno, quelli come voi che hanno rinunciato a combattere!”, “Anche i fratelli tradiscono: c’era già nella Bibbia”; altri sussurrano “Lottiamo in altra maniera…”.

    Pontecorvo ci dà anche un suo monito finale, condivisibile o no (soprattutto se certa rabbia, dopo la visione del film, ci ha trafitto il cuore):
    -“Come si può pretendere da altri uomini una pazienza così disumana?!”.
    -“Eppure ci vuole anche questo coraggio”.
    (Da qui l’inconsistenza delle accuse di faziosità, fioccanti ai tempi del Caso Moro)

    E in tutto questo anche scene di rabbia e dignità che restano nelle retine: le barche nel porto di Bilbao che suonano le trombe, a ricordare che, poi, il terreno è fatto di loro, la “base” è del popolo, da lì parte tutto.

    Sottolineo anche io, come già fatto dal Taigher, la tensione continua che aleggia sui giorni apparentemente normali dei protagonisti, tra un pullman di tifosi del Real Madrid e un franchista da far saltare.

    Solo un appunto: Carraro Blanco, “L’Orco” del titolo, fu ucciso in dicembre (la decisione presa in novembre).

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