Le mani sulla città

Rcensione LVI:
Poca gente in sala Uander: Io, Elena, Gioggi, Tigre. Ed è davvero un peccato, perché, di questi tempi, vedere questo film, avrebbe fatto male a mente e cuore (ed è questo il sommo bene, o vogliamo continuare a credere che tutto sia a posto?). Ritorna, dopo quarantacinque editoriali, il regista di "Salvatore Giuliano", il napoletano Francesco Rosi. L'anno dopo la realizzazione del film dedicato al bandito siciliano, Rosi prosegue il suo percorso di denuncia e grida al mondo "Le mani sulla città", del 1963.
Formalmente affronta la sua città natale, ma è un sanpietrino scagliato contro le amministrazioni di qualsiasi città. Sottotitolo "Speculazione edilizia", verrebbe da dire ma, a ben salire, si giunge a tutto il male del mondo, alla radice prima di ogni ingiustizia (che trova nella politica e nell'amministrazione la torba più fertile): l'egoismo insito in ogni uomo; "Voglio di più ora e adesso, subito"; "Degli altri e del domani me ne frego"; "E non è vero che tutti gli uomini sono uguali"; e così via...
Quindi un film socialmente impegnato ma non solo. E' soprattutto un film diretto con maestria che intrattiene lo spettatore per tutta la durata e, ciliegina sulla torta, lo obbliga a dissestare la propria materia grigia. Grande realismo nei fotogrammi (le immagini del crollo dei palazzi sono davvero drammatiche) e lucidità nel raccontare i fatti. Sì, è questo il pregio maggiore che ho trovato nel film di Rosi: la linearità raggiunta nel raccontare fatti che, per loro stessa natura (o meglio, per volontà dei loro artefici), sono attorcigliati, arzigogolati, confusi, avvolti in una nebulosa che nasconde i particolari; sabbia negli occhi di chi continua a credere a tutto ciò che gli viene raccontato. Volente o nolente. Cavolo, guardando questo film, viene da chiedersi: "Ma, è così semplice! Perché non lo capiamo? perché non ne prendiamo atto e li mandiamo tutti in galera?!". Ed invece, quando entra lui, il Dio Denaro, tutte le carte si mescolano, passa come Katrina e l'unica cosa che rimane è che "loro" stanno sempre lì, al loro posto. Vabbè, scusatemi, ritorniamo al film. Chiarezza espositiva, quindi, e sdegno legati assieme per dare a questa pellicola una veste davvero accattivante. Poi, se qualcuno trova "Le mani sulla città" fazioso, credo debba semplicemente constatare che: è così. Tant'è sono sempre gli stessi ad arraffare. E' statistica spiccia. Ops, perdonatemi ancora. Bianco e nero mai buttato lì a caso, inquadrature pregne di significato, musiche di piccioni che s'intromettono in una colonna sonora fatta di clacson, urla, traffico e dialetto. Titoli di testa suggestivi che, se in sala non ci sono manichini, introducono magnificamente al senso di angoscia e claustrofobia che seguiranno. Grandi prove degli attori, pochi professionisti, la maggior parte improvvisati; in primis Carlo Fermariello, che impersonifica alla perfezione il consigliere comunista De Vita, "E te credo! Lo è davero!". Sullo schermo sgorga la sua rabbia, accumulata (immagino) in anni di assemblee comunali. Il "cattivo" di turno è Rod Steiger, che fu il fratello spregiudicato di Terry Malloy (Marlon Brando) in "Fronte del Porto" e sarà Juan Miranda in "Giù la testa"; bravissimo. Azzeccata anche la prova di Salvo Randone (che sarà "Militina" della "classe operaia" di Petri), nel ruolo del viscidamente accomodante centrista che "aggiusta tutto", Mr Wolf dei corrotti. Guido Alberti (al suo esordio, in contemporanea fu sua la parte del produttore Pace in un filmetto di Fellini...), nella parte del consigliere dell'MSI, rende anche fisicamente l'altezza morale del suo personaggio.
Dire che è attualissimo è scontato quanto frustrante. Ma guardiamolo, consigliamolo, proiettiamolo, copiamolo e distribuiamolo a chiunque, lasciamolo anche per strada, sulle panchine; questa volta non solo per il bene del cinema. Alla lunga forse...
(depa)

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