La notte

Fantasia LXVI:
In sala Uander, qualche settimana fa, abbiamo tardivamente riparato ad una gaffe durata più di settanta incontri. Però l'abbiamo fatto col botto, con sì qualche sbadiglio e qualche espressione perlessa, ma questo film è di quelli che devono essere pensati, perlustrati, magari sì, proprio "La notte" seguente la proiezione; io, i due Albert, Elena e il Tigre, tutti in piedi per il ferrarese Michelangelo Antonioni. 1961. 
A metà della sua opera (una quindicina di film, provvedere in fretta), il borghese Antonioni aveva già impresso sulla pellicola le magagne intrinseche, le debolezze estrinseche della sua classe sociale. In questo episodio (il secondo della trilogia "dell'esistenziale" o "dell'incomunicabilità"), lo fa potendo contare su un trio che fa venire le vertiggini, nella loro maniera di lasciarsi cadere nel vuoto, alla mercé di tutta l'insoddisfazione dell'uomo dei nostri tempi: Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau e Monica Vitti. Che prova...che biancoenero, che linee nel cielo! Gru che ingabbiano gli individui, appartamenti sconfitti che liberano dall'oppressione incombente dei grattacieli là fuori.
La passeggiata della Moreau è ormai nel cuore di tutti i cineforumati (io ed il Tigre ci bruciammo gli occhi vedendola camminare verso il patibolo sul jazz di Davis...), Mastroianni è l'unico uomo martini dei nostri sogni, la Vitti allunga la storia delle belle e capaci. Un film che non può essere considerato lento e accademico, perché è nell'animo umano, solo anche in compagnia, che c'è la vera suspence, quella in cui possiamo scivolare anche noi. E non v'è possibilità di pianificare alcuna (a parte, forse, una carrieria di lavoro). La crisi è dentro l'angolo, forse è meglio non provarci nemmeno a resistere, forse è meglio lasciarsi cadere addosso questa pioggia, tanto la festa fa falsi sorrisi, il faccia a faccia non supera la maschera. Diciamocelo chiaro e tondo che non ci crediamo nemmeno più.
Va bene, ho smarronato. Però il film è un capolavoro.
(depa)

1 commento:

  1. Anche a me, come al Cinerofum (di) allora, mancava il fondamentale "tassello-Antonioni" e finalmente ieri sera anch'io ho rimediato.
    Con questa sceneggiatura, intrigante per come si evolve e per come ci viene raccontata la storia e completata da un finale, secondo me, che coglie nel segno ed emoziona, Antonioni indaga la caducità dell'amore e, come hai scritto tu, Depa, le magagne della borghesia, mostrandoci in maniera lineare e diretta fin dove la psiche e l'istinto di una coppia (borghese) in crisi possano portare lui e lei.
    Mi è sembrato come se il film fosse diviso in un "primo e secondo tempo" ben definiti: la prima metà del film racconta la giornata, cominciata con la visita in ospedale ad un caro amico comune in fin di vita e proseguita con una "fuga" di lei, ed è come un'introduzione alla seconda, che racconta la nottata passata dai due coniugi in un night, prima, e soprattutto ad una grande festa mondana poi, periodo nel quale si sviluppano i veri avvenimenti e si svelano i reali sentimenti che hanno l'uno nei confronti dell'altra (e della vita) e lo spettatore li può cogliere fino in fondo, grazie appunto a quello che, di loro due, si è visto e intuito nella prima parte della pellicola.
    La seconda parte accelera anche leggermente di ritmo. La maggior parte dei dialoghi è composto da battute spesso brevi e taglienti, che vanno subito dritte al punto (il classico "botta e risposta") e, grazie anche all'interpretazione di attori di prim'ordine, ciò dà alla pellicola un ritmo non veloce, ma bello cadenzato, un ritmo che si può definire jazz, come appunto la "colonna sonora" della festa che suona in sottofondo, quindi, per quasi mezzo film.
    L'uscita di scena di Valentina (una grandissima Monica Vitti), secondo me è geniale (lei che svanisce nel buio, dopo essere stata baciata e "amata" dai due protagonisti): all'improvviso questa donna che, secondo me, rappresenta il tentativo di anticonformizzarsi e di lasciarsi andare ai sentimenti e all'istinto, sparisce totalmente dalla mente dei due protagonisti.
    La loro irrazionalità non prende mai il sopravvento (a favore di una tipica "razionalità" borghese), il che permette un'indagine più completa dei temi sopracitati e anche questo contribuisce a far mantenere al film questo ritmo cadenzato di cui ho appena scritto, senza alcun picco "isterico" (quelli che, in film a tema, piacciono tanto a quello sfigato di Muccino, per capirci) che, secondo me, non ci sarebbero stati per niente.
    E il finale, come detto, è emozionante e terribilmete realistico per quello che è stato l'evolversi degli avvenimenti.
    Antonioni mi ha colpito e affondato!

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