Extra: Luci ed ombre delle città

Altro giro, altro Charlot. Sir Charles Chaplin, nel 1931, rimase aggrappato con le unghie al muto, alle espressioni incontaminate, ai sentimenti manifesti e non suggeriti. "Luci della città", non mi ha entusiasmato come altri film del regista ("La febbre dell'oro" , "Il Monello", "Tempi Moderni") ma conserva la delicatezza tipica del personaggio Charlot, con l'aggiunta di una smorfia proveniente dal regista stesso, dietro le quinte, malinconicamente conscio della morte del suo "muto".
Il film è denso di occhi dolci e buoni sentimenti, la speranza viene annunciata a gran "voce": "Domani i fiori sbocceranno di nuovo!", la buona azione è più che disinteressata, quasi rispondente a principi universali ormai dimenticati. Anche se quel finale...forse è la gran trovata di Chaplin. Arriva come un pugno l'ultima espressione della protagonista, si accettano scommesse: è rimasta basita perché invece del Paperon De' Paperoni c'è uno sgummuriato, o sta solo riflettendo sui casi del destino e sulla sommma gioia che le va gonfiando il petto?
Come sempre, scene che hanno scavato solchi nella storia del cinema, ma se ho trovato ben riuscite (ritmi e qualità delle gag) alcune, come quella di Charlot che si arrangia come può sul ring, altre mi sono sembrate scontate e prolungate oltre modo (quella del fischietto inghiottito su tutte). Come se queste forzature fossero frutto degli ultimi pianti del regista, al cospetto della lapide, in costruzione, di un cinema che lentamente sarebbe scomparso, tra chiacchiere ed esplosioni inutili.
(depa)

2 commenti:

  1. Capisco e condivido la tua "leggera critica" al film. Tuttavia mi piace sottolineare che è stupefacente pensare che ben 5 anni dopo girò "Tempi moderni", nel quale, pur accogliendo per la prima volta il sonoro in qualche scena, la pantomima muta rimane sempre la parte importante e predominante del film, e (dalla tua recensione sul 'rofum) mi pare di capire che sei d'accordo con me sul fatto che sia uno dei suoi lavori più riusciti.
    Quindi, a voler essere pignoli, definirei quelle "forzature" più che un "frutto degli ultimi pianti del regista al cospetto della lapide..di un cinema che lentamente sarebbe scomparso..", solo il frutto di attimi di smarrimento e sgomento "del regista al cospetto della lapide....", regista che però poi si ridestò, guardò avanti verso una direzione che mai e poi mai avrebbe voluto e pensato di seguire, e ripartì alla grande! Come solo i grandi artisti sanno fare!

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    1. Hai ragione: Chaplin, in opere successive, seppe dare struttura e fascino al proprio sgomento di fronte a questo ineluttabile "Nuovo".
      Bella Bubu.

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