Extra: Ladri di biciclette a Kabul

Ieri sera in sala Uander ha fatto il suo ingresso anche il cinema iraniano; come presumibile, in sala non c'era il pienone: Elena, Zippino, Depa. Ma nessuno, nonostante la stanchezza, si è permesso di allentare la palpebra. Perché sin dalle prime immagini si viene catturati, innanzitutto da un'atmosfera a cui non siamo molto abituati, in secondo luogo dagli occhi dei due piccoli protagonisti di "Piccoli ladri" di Marzieh Meshkini, del 2004.
E' vero, il film rischia grosso; sempre in agguato una scivolata nel burrone della melensaggine e della facile melodrammaticità, basti pensare che il racconto è ambientato in una Kabul, Luna gialla bombardata, in cui due piccoli bambini vagano con un dolce cagnolino salvato da un linciaggio. Rischia ancora di più, quando si permette (a noi italiani!) di proporci citazioni neorealiste che pesano come piramidi. Beh, lì alcuni ci cascano, altri no. Io ci sono cascato, mi sono fatto abbindolare, e non mi sono offeso. Mi è parso un buon cinema quello della regista iraniana, qui alla sua seconda opera. Anzi, la pellicola, pervasa inevitabilmente da polvere di morte, non risulta un banale solleticamento alle nostre corde della commozione; più elementi di rottura che alleggeriscono, per quanto possibile il tono del racconto. "Ladri di biciclette" viene, a mio parere, delicatamente incastonato nel marrone dei muri del villaggio afgano, "Roma città aperta" viene rivisitato coi colori, odori e rumori "taliban", senza vuota referenza ma con nuova e differente potenza. Un tributo come ne riescono pochi.
Giro, provocatoriamente, la frittata: in un racconto di questo tipo, in una terra coinvolta da problemoni di quel tipo, come si fa a raccontare una vicenda drammaticamente realistica senza che venga accusata di essere un'astuta e facile strappalacrime? Cosa dovevano fare i due protagonisti? Presi dalla rabbia e dallo sconforto, avrebbero dovuto prepararsi uno spiedo con il gustono cagnolino? O ancora: "Vittorio" Citti, tutto sommato, faceva venire una gran voglia di vivere? I Pasquale e Giuseppe di De Sica tiravano avanti col sorriso stampigliato tra luminosi guanciotti, per non correre il rischio di passare per furboni, con gli occhi dolci solo durante l'orario d'elemosina?
Un piccolo inchino da parte una regista irachena al nostro grande cinema che fu; non vi è venuta voglia di vederlo?
(depa)

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