Extra: Herzog dirige Kinsky

Ieri sera, solo soletto, mi sono potuto rilassare di fronte a un vecchio buon Herzog. Nel 1979, il regista di Monaco di Baviera, decise di misurarsi con "Woyzeck" di Georg Büchner. Alla fine della prova, si ha la sensazione fragorosa di aver assistito ad una grande opera classica, in cui il maestro Herzog, stravolto, scapigliato, dinanzi agli applausi scroscianti, ha diretto un'orchestra in cui tutti gli strumenti sono suonati alla perfezione da un unico, indimenticabile, attore: Klaus Kinski.
Film impressionante per potenza poetica, deve essere affrontato, per essere assaporato sin dalle prime stupende immagini, sapendo che si tratta di un film "in versi". Herzog, per altro assiduo regista di documentari, lascia il cinema in prosa e, piéce teatrale fortemente drammatica (ispirata da un episodio reale) in mano, regala ai cinefili un'opera di rara intensità.
Il regista ha un gusto estetico ispirato e, complice la meravigliosa scenografia della cittadina ceca Telč, colleziona veri e propri acquerelli che fanno spalancare la bocca. Le calme acque che cullano la piccola città propagano all'infinito le sfumature dell'autunno, che andranno a rendere ancora più melliflui e pastelli i colori delle stanche casette, appoggiate le une alle altre. A creare un contrasto eccezionale ci pensano, vere e proprie esplosioni emotive, l'angoscia, la follia, la gelosia del protagonista: il soldato Woyzeck è, evidentemente, vittima della guerra, della fame, della scienza anche! Ma, prima ancora che dallo scarpone del suo superiore (titoli iniziali da vedere e rivedere), è schiacciato da sé. Qualcosa lo attanaglia, lo obbliga a non star mai fermo; il male di vivere avvolge lui e...la pellicola. Carnefice di se stesso, parte deficitario ed espone il fianco a farabutti e pazzi (anche più di lui): soccombe di fronte all'egoistica vanità e voluttà della specie umana. Le dissertazioni filosofico-religiose, come sabbie mobili, non offrono appigli, anzi.
Klaus Kinsky non esprime, si fa espressione. Muove ogni sua ruga in direzione della sofferenza ricercata. E lo fa, inoltre, volgendo spesso i suoi occhi chiari di glaciale terrore, di animale alle corde pronto a qualsiasi gesto, verso la m.d.p. Il coinvolgimento è assoluto.
La scena dell'omicidio è di una potenza rara. Eva Mattes, la "fidanzata" del protagonista, è spalla perfetta (lei premio m.a.n.p. a Cannes) per un rallenti che è un crescendo d'emozione. La pellicola di gonfia di drammaticità.
Il regista sembra essersene accorto e, in un lago di sudore, celebra anche con una didascalia l'evento straordinario a cui ha appena assistito: "Un omicidio perfetto, come da tempo non se ne vedevano".
Chi, invece, stava pensando ad altro sono i giudici di Cannes che riescono miracolosamente a non incoronare Kinski; tutti a vedere Jack Lemmon in "Sindrome cinese", per verificare se è questa la malattia che li afflisse.
(depa)

1 commento:

  1. E non dimentichiamo: Woyzeck che, in preda al delirio, sente le voci aggirandosi per i campi!
    Pure la scena finale, rallentata, con la polizia che esamina il cadavere...davvero versi cinematografici che restano indelebili.

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