L'appartamento

Serata LXXVIII:
Il 'rofum nella canicola milanese prova a rialzare la testa; in sala Uander il ventilatore può restare fisso, tanto i presenti sono tre: Ele, Albert Aporty ed io. Sopra i 30° C, i medici cinematografici consigliano una sana commedia americana; noi, da bravi e ligi degenti, seguiamo alla lettera, e ingoiamo al volo il medicinale più celebre: "L'appartamento" di Billy Wilder, del 1960.
Non è sufficiente una temperatura opprimente per sottrarre freschezza a questa commedia che ostenta, fotogramma dopo fotogramma, la propria robustezza, completezza, perfezione. Ci s'innamora delle inquadrature, ci si scopre abili nel cogliere la precisione del montaggio, d'improvviso si intuisce cosa si intende con dialoghi arguti ed eleganti; insomma stiamo proprio guarendo.
Mi hanno colpito molto alcune allusioni e doppi sensi che appaiono coraggiosi anche oggi, a riprova del fatto che con un fine guanto bianco, graziosamente ricamato, si può anche toccare il culo alle ragazze (o forse no?). Ma non solo: il film mi ha lasciato veri e propri momenti d'agrodolce malinconia, grazie a battute dette a mezza voce, magistralmente sussurrate dai due grandi protagonisti, creando un profondo legame col pubblico. Pubblico che, più volte, vorrebbe spintonare il bonaccione Jack Lemmon fuori dallo schermo e fargli vedere come conquistare la "bona" Shirley MacLaine, perché a volte "Cicibello" sembra davvero cercarsele. Ma, tutto sommato, e lì sta la solidità delle sceneggiatura, i suoi stratagemmi per sbrogliare le situazioni è credibile.
Si ha la netta impressione che Billy Wilder trotterelli con piacere e naturalezza con la m.d.p., mostrando, già che c'è, tutte le insulse prepotenze della società consumistica e le ridicole ipocrisie della sbrindellata istituzione famiglia. Inoltre, nella scena finale, regista e colleghi riescono a far ridere e piangere, insomma commuovere, senza lacrime né baci. Mitici.
Wilder: una sicurezza nel ramo commedia cinematografica.
(depa)

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