Extra: Ruggine e nulla più

Il regista  quarantacinquenne anconetano Daniele Gaglianone viene citato come uno degli "emergenti" italiani più promettenti. Bene, allora, italianofobia buttata giù, mi reco al Centrale per vedere un po' com'è questo "Ruggine". Tra l'altro, il cast annnovera la créme del nuovo cinema italiano: Accorsi e Mastandrea. Niente. Avrei fatto meglio a starmene a casa e infilare qualche film più "sicuro" nella Play.
E dai, posso anche mettercela tutta; come ha fatto, del resto, un sacco di gente in giro per la rete. Ma proprio non riesco a consigliare la visione di questo film a nessuno. Ma davvero è possibile farsi affascinare da un film in cui si narra la storia di bambini che giocano nella periferia popolare di Torino, la cui infanzia viene "sconvolta" dalla venuta di un medico generico pedofilo? Davvero qualcuno è rimasto colpito dalla scena in cui Valeria Solarino (la bravissima di "Fame chimica") rievoca fantasmi del passato con l'abracadabra "Giocare/chiavare"? Sono motlo perplesso. A me è venuta voglia di uscire. Alla fine del primo tempo uno spettatore clemente aspetta. Inizia il secondo tempo, e io perdo la pazienza. Pochi minuti bastano per fugare ogni sospetto: ciò che si aveva il terrore che il regista stesse srotolando accade. Quei tre adulti dei giorni nostri sono davvero i tre ragazzini cresciuti. Già si potrebbe gridare "W l'originalità", ma si è al cinema, non si può. Allora ci si mette una mano sulla bocca, si trattiene il conato e si progetta di farsi dare metà del prezzo del biglietto da chi ci ha raccomandato questo film.
Non c'è un attimo di suggestione, nemmeno guardando i bellissimi bambini che scorazzano tra ferro e polvere, inno all'infanzia, al gioco, all'ingenua maturità di quegli anni in cui si è under construction. Ma tutto il resto puzza. Tutto sporco di ruggine creativa, il film non fa scattare alcun tipo di empatia da parte dello spettatore. Mastrandrea vorrebbe commuovere ma è un satellite avulso (così come il buon Accorsi). Hai voglia "svelarmi" che era lui, che è così perché ha sofferto! Dai, non scherziamo.
Irritante. Vuoto. Alcune scelte da dimenticare (il maniaco, per prendere forma dovrà appellarsi a Hitler, fate vobis). Ma voglio fidarmi di chi crede nel regista italiano che, d'altronde, un certo senso estetico cinematografico ce l'ha (l'atmosfera c'è, ma si tratta solo di un abat-jour offuscata da un sigaro, in una stanza lontanissima da noi, nulla più). Quindi il prossimo di Gaglianone lo andrò a vedere. Un'altra possibilità. Una sola. E, se ne sarà valsa la pena, giuro che non bloccherò nessuno.
(depa)

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