Extra: La nave "Utopìa"

Sabato, tardo pomeriggio, riesco finalmente, dopo anni, a vedere un film a casa di mia mamma. E tanto basterebbe a ritenersi soddisfatti, ma in questo caso le ragioni potranno essere due; c'è anche il fatto che tra le mani m'è capitato un iraniano che dura quanto una partita (senza supplementari), quindi nessun problema per la cena con papà: "L'isola di ferro" è un film del 2005, di Mohammad Rasoulof.
Il film è davvero, per il sottoscritto, un piacere per occhi e mente. La suggestiva idea che sta alla base della sceneggiatura (non so quanto originale; beata ignoranza) permette di spaziare in mare aperto con la fantasia, mollare gli ormeggi e andare a scovare i primitivi legami tra gli individui della nostra specie là dove sono incontaminati: dalle impalcature subentrate, non dalle brutture insite in noi già dai tempi del grande sparo della "Partenza".
E quando gli ingredienti base sono, appunto, tutti naturali, allora ognuno può tirarne fuori il piatto, la torta che s'è figurato. Ed è questo che ho fatto io, ed è quello che è successo a mia madre, così come nella rete è possibile trovare più chiavi di lettura di questo film che, in ogni caso, lascia un piacevole gusto agrodolce in bocca.
Il capitano Némat è il classico sfruttatore truffatore privo di cuore ma ricco di astuzia? Col proprio carisma spicciolo riesce a passare per benefattore quando è l'aguzzino più spietato? Si arricchisce sulle schiene di gente costretta a piegarle; non vuole che ci siano vie di fuga verso la realtà laggiù; smantella la nave (simbolo della propria terra?) solo per ricavarne altro denaro? Oppure leva qualche pezzo superfluo, così da alleggerire quel condominio galleggiante che inesorabile, non lo dice ma lo pensa, va giù?...il dubbio s'insinua.
Anche perché gettare una televisione (che distrasse, che strano!, qualcuno in un momento delicato) in mare, oggi, non riesco a vederlo come un gesto di violenza...
E se fosse che il capitano Némat è un sincero utopista che proprio non ne vuole sapere di scambiare le ali con le ghiande? D'altronde cos'ha fatto? Ha isolato (termine, in questo caso, non proprio calzante) ex-sognatori da storie già troppo scritte perché si potessero chiamare con quella parola che non può e non deve essere linea retta, ma inventiva, creatività, contributo sterzata, più o meno brusca: vita? Ok, a volte è più padrone che padrone, ma quello capita a tutti, tutti i giorni. Si accanisce col ragazzo, non lo molla, ma nemmeno in mare...e alla fine farà sì che i due innamorati s'incontrino. Magari quella terra sarà davvero quella giusta per un grande parco per i bambini...quien sabe?
Certo, un'intervista al regista potrebbe farmi fare la figura del besugo. Ma il cinema può anche questo (oltre a sputtanarmi, ovvio): metterci di fronte a possibilità multiple, basta che, alla fine, ci si becca per dirci un po' cosa abbiamo tratto da 'sto naufragio. Perché ognuno ci metterà del suo, rivelandosi; chi sarà più utopista (credulone o speranzoso?), chi sarà il dolce ma arrembante bambino-pesce e chi sarà il vecchio in eterna attesa di quell'arrivo che farà sorgere un sorriso.
Magica storia allegorica per capire un po' di più la nostra specie e per vedere, finalmente, quel tuffo liberatorio, atteso da più di 50 anni da Antoine Doinel, nel mare sconfinato.
(depa)

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