Extra: schiavismo di von Trier?

Ieri sera, io ed Elena abbiamo voluto portare avanti il discorso che Lars von Trier intraprese con "Dogville". "La grazia" si sposta a Sud-Est, scende giù dalle montagne ai campi di cotone, approdando, nel "2005" a "Manderlay", in Alabama. Dalle alte vette del primo capitolo, questa volta il regista danese scende ad altitudini più basse, ad argomentazioni (così basilari nella prima puntata) più terra-terra. Si entra più nel concreto, ci si sporca di più le mani, e la polvere, purtroppo, sporca anche la pellicola.
Qualcosa è andato perso. Provo a ricercare, mentre scrivo, le cause del calo di fascino che le vicende di Grace hanno avuto ai miei occhi. Banalmente, l'effetto sorpresa che suscitò "Dogville" con la sua scenografia era caricato con un solo proiettile; per di più, in questo caso, c'è da superare il piccolo, ma pur sempre presente, ostacolo dell'identificazione di Grace con un altro volto. Se in altre pellicole (i vari James Bond...) lo sforzo era davvero minimo (complice le anteprime, la pubblicità che indorava la pillola), in questo caso lo spettatore dovrà impegnarsi a mettere a fuoco la protagonista con una altra lente. Ok, niente di trascendentale.
Ma da subito, si ha la sensazione che Grace sia meno delicata, irrompe nella scena senza "presentarsi" a noi al di qua dello schermo; "Beh dai, è ovvio" direte, "Eh ho capito, però..." risponderò. Certamente un tema più concreto, più politico, come il rapporto tra neri e bianchi richiede meno "svolazzi", bensì un bel muso duro nudo e crudo che fermi quella mano che impugna la frusta. Sta di fatto che il risultato finale è un po' più "pesante". Non intendo che il film non scorra veloce e non intrattenga; bensì che non permetta allo spettatore di staccarsi dalla poltrona. Lars von Trier, indubbiamente, in questo secondo episodio, è stato obbligato a suonare note diverse, seppure dello stesso pianoforte. Ecco, questa volta si è spostato un po' più a sinistra. Quindi, forse, sto scivolando semplicemente sul un de gustibus musicale che non deve distorcere la valutazione in sé. Personalmente, ho trovato la componente sessuale, da sempre fulcro primarissimo nei rapporti sociali, resa con un crescendo troppo brusco, non che non sia questo l'andamento aderente alla realtà. A darmi una sensazione di pesantezza, inoltre, ha contribuito una maggior presenza di oggetti scenici. Oltre alla maggiore caoticità, che ingabbia maggiormente la mente dello spettatore, il risultato è che, i pochi oggetti che in Dogville assumevano la responsabilità di caricarsi di più significati, qui moltiplicati, hanno perso carica simbolica. Insomma, ciò che aveva reso "Dogville" unico, è stato un po' tradito.
Finalmente, sul piano dei contenuti, il regista rischia grosso. A tratti ho le sensazione che si vada a impelagare su concetti ambigui: la necessità per "alcuni individui" di avere un padrone per l'incapacità di "essere libero"; diciamo così, leggere attentamente le avvertenze, ché può avere effetti collaterali. In questo casi le avvertenze sono libri di storia, letteratura, strade e chiacchierate con amici e sconosciuti, insomma facciamoci una nostra idea, settacciando il mondo che ci circonda, non limitandoci alle orecchie della Gazzetta. Detto ciò, come ormai saprete, l'idea che la democrazia non sia buona nemmeno per stabilire l'ora esatta, mi trova pienamente d'accordo...
Non so nemmeno se consigliarlo, perché è un film che non vuole bene al suo predecessore.
(depa)

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