Extra: Woody, Parigi e l'Old Fashion

Ieri sera, in quel "gran cinema" che è il Plinius, sempre pronto a raccattare "euri" qua e là, io ed Elena ci siamo precipitati a vedere l'ultima fatica di Woody. Siamo quasi alla cinquantesima bobina ma, per il regista hollywoodiano classe 1935, i metri di pellicola volano, come fossero primi appassionati esperimenti, a trasportare il pubblico in sala, con la solita acuta leggerezza, su città e riflessioni. "Midnight in Paris" è il classico lavoro di Woody Allen, diverte in maniera intelligente; in questo caso, se lo svolgimento non soddisfa al 100% è perché un film non può durare 7 ore; dopo il "The end" tocca a noi.
Se qualcuno non avesse ancora capito, traendo spunto da alcuni suoi ultimi, a Woody Allen Parigi piace molto. Niente di strano. A un artista del suo calibro, città come la sua New York, Barcellona, Londra, Parigi...non possono passare fuori campo. Però, una dedica d'amore bisogna saperla fare e Woody ci da qualche dritta, con i titoli di testa che ci immergono in tutto il bello della capitale francese. Dalla mattina alla sera, un'intera giornata nella città in cui ogni parete ti racconta qualcosa di un'altra epoca; tutti gli scorci, i rumori e i passanti si portano appresso (chi consapevolemente, chi no; chi a testa alta, chi no) un'eredità culturale che dona loro luci e ombre particolari: una città fantastica. A mezzanotte, poi, Parigi può far sognare, gli innamorati in particolare. Gli innamorati di tutto; più cose ami, più motivi avrai per amarla.
E se, caro mio, in questo periodo hai una cotta per la letteratura, beh, allora stai per prenderti proprio una bella sberla. Owen Wilson ha la faccia troppo simpatica per non essere perfetto nel ruolo di scrittore sornione che passerebbe volentieri il resto della sua vita perso in un'altra dimensione, a studiare Fitzgerald, bere con Hemingway, straparlare con Dalì, burlarsi di Bunuel e osservare Picasso. Il gioco messo in atto da Woody è di quelli da acquolina in bocca...per grandi e piccini, purché dentro di loro si muova qualcosa, non di pedante, bensì di culturalmente alto e silenzioso. Quell'altezza e quel silenzio che gli intellettuali del passato (anche quelli più o meno sopravvalutati) racchiudevano in sé; senza guardarsi indietro ma affacciandosi e traendo spunto dall'oggi là fuori. "Gil" Owen non lo sa ancora ed è convinto che solo negli anni in cui il centro gravitazionale culturale era (incontrastata; è?) Parigi, e solo nei suoi salotti, si poteva appropriarsi di una Vera Vita, condita da Autentica Cultura.
Woody spiega che le opere dei "Grandi" non sono sepolte nel passato, sono lì a mutare gli occhi degli osservatori di oggi e a colorare le pareti, gli alberi, i fiumi e i bicchieri che circondano i passanti di adesso. La rincorsa al passato non è inutile (non sia mai, c'è di peggio) ma deve essere proiettata verso una ricerca che comunque va in direzione del tempo, altrimenti si corre il rischio di girare a vuoto.
Chiaramente avremmo voluto che svolgesse ogni episodio fino alla piena conoscenza di ciascuno dei "Mostri" che ci regalano questi fantasiosi camei (no, non quello della Bruni che, incredibile, riesce a recitare malissimo anche in film di Woody in cui lui stesso vuole scherzare). Anche io avrei voluto che il film seguisse meno "Chi si batte!?-Hemingway" per osservare maggiormente lo stiloso F.S. Fitzgerald, ma questo film vuole essere uno spunto, una pacca sulla spalla dato dalla madre al bambino che si stava abbandonando a capricci senza sostanza: "Va' fuori a giocare con gli altri". Fuori c'è tutto il resto che non hai trovato in questo film-freccia. E' vero che gioca facile Woody, ma il difficile sta nel capire davvero quale sia la direzione che ci viene suggerita.
Quella che vi suggerisco io è il cinema più piccolo più vicino e, se prendete un mezzo, portatevi anche un libro.
(depa)

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