Extra: Blues Brothers alla Kaurismäki

La settimana scorsa, in piena crisi di reclute, il Cinerofum ha aperto la Sala Uander a personaggi stravaganti, alcuni si sono seduti sul divano (Io, Brown e Ale Paroz), tanti altri sono entrati nello schermo: "Leningrad Cowboys Go America" è un road-movie al sapor di Kusturiça che fa sorridere e soffermarsi, non su un tema socio-economico ma...musicale. Dimenticavo, qualcun altro ha fatto ingresso nella nostra iniziativa: non si è seduto tra noi, né si è disposto sulla scena, bensì, a mezza distanza, si è accomodato sulla sedia del "Director" per orchestrare questa pellicola del 1989...Aki Kaurismäki è un regista finlandese, classe 1957, ormai affermato nel panorama internazionale dei registi cinematografici.
Non si nasconde Kaurismäki, il suo stile si può anche condensare nella prima immagine delle sue pellicole; inquadrature fisse, movimenti macchina centellinati, spostamenti che al massimo coprono pochi metri (anche se in questo caso c'è di mezzo una "Cadillac" che divora distanze statunitensi), silenzi perplessi, ironia ricca di non-sense per condire situazioni paradossali ma che, a guardar bene, tanto incredibili non sono. Come ormai sapete, mi impegno sempre a non rivelare nulla dello svolgimento della pellicola e anche 'sta volta terrò fede a questo dettame, ma un suggerimento preventivo per gustarsi meglio "Leningrad Cowboys Go America" lo voglio dare: è un film comico, non siate troppo esigenti su veridicità e plausibilità di ciò che vedrete, il rischio è quello di ritrovarsi non "allineati", in disarmonia con la spensierata e squisita musica lappone; o vorrete anche voi esibirvi in "Che ne dici? Boh, non saprei...lezioso, autoreferenziale...la scena del tipo che guarda la scarpa, boh, cos'avrà voluto dire?" tipicamente browniano?
Questi "Leningrad Cowboys" devono essere davvero dei tipo strani, un po' rock, un po' ska, un po' punk, si mettono in mostra al meglio percorrendo assieme stati U.S.A. lontani e generi musicali disparati; quest'astuto e ben confezionato braccetto porterà fortuna a regista e musicisti (almeno Kaurismaki ha scelto tipi un po' più "easy" dei Madredeus di Wenders); insomma, come anticipato, immagino che Kusturiça e Kaurismäki si siano conosciuti, che abbiano bevuto una birretta assieme e che si siano raccontati qualche bella storiella, poi però: il finlandese, memore del ghiaccio che tutto copre e annichilisce, si è seduto, ha detto agli attori di stare fermi ed ha scostato appena la m.d.p.; il serbo, più sanguigno, impugnato un fiasco di vino, ha cominciato a saltellare chiedendo agli attori di distruggere tutto. E' solo una chiacchiera leggera, la mia: i due autori hanno connotazioni artistiche proprie ben delineate, ma la stessa voglia di portare in giro per il pianeta, via cinema, la profondità e l'ironia delle proprie terre, troppo spesso relegate a margine delle cartine della Settima.
(depa)

1 commento:

  1. Carina di brutto sta commedia!
    Alla fine della visione rimane tanta bella musica nel cervello. Per esempio, la mitica “Born to be wild” in quel punto del film ci stava alla grande e il chitarrista si spara pure un assolo della Madonna, mentre la scena intorno, effettivamente, ricorda tanto una famosissima scena dei “Blues brothers”. Veramente bravi questi Leningrad Cowboys!
    Anche il viaggio in macchina in giro per l’America (e non solo) a seminare musica di ogni genere, ricorda quello dei Blues brothers, ma in questa pellicola non sono due fratelli americani a farlo in nome di un fioretto, bensì un gruppo di personaggi strampalati e assurdi, che in certi passaggi del film fanno morir dal ridere, e lo fanno solo per il gusto di fare musica, anzi, l’incontrollabile istinto di fare musica (vedere per credere quando vengono arrestati) ed è tutto molto bello.
    L’incontro col cugino perduto che viene riconosciuto per i capelli e le scarpe a punta è un classico, ma ci stava di brutto anche quello.
    La pellicola non annoia mai e scorre ad un ritmo costante, grazie anche alla scelta di Kaurismaki di legare le scene mediante didascalie e dissolvenze a nero degne di menzione e a quei “silenzi perplessi”. Anche alcune belle immagini rimangono nella mente come quella del gruppo sdraiato sulla spiaggia a prendere il sole. Finale ok.
    Molto molto gradevole.

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