Extra: Malick e il male

Ieri sera, in sala Uander, si è proseguito il discorso iniziato qualche mese fa col regista americano Terrence Malick. Ed eccoci dunque, io ed Elena, ad affrontare il filmone del regista di Waco sulla guerra e, più in generale, sul male che attanaglia la stirpe umana, incapace (detto esplicitamente dalla voce fuori campo "del regista") di godere delle bellezze e dei piaceri messe a disposizione dalla generossima Madre Terra: "La sottile linea rossa", del 1998, è un film di quasi tre ore che appassiona molto e dà un bel quadro d'insieme di ciò che comporta la bruttura bellica.
Anticipo già le reazioni della sala: al termine tutti soddisfatti e concordanti sul fatto che "Eh sì, è proprio un filmone". Leggete? Non nutro pregiudizi verso il regista meno prolifico che io ricordi (non ho scritto "della storia"! pé pè). E rincaro la dose, a beneficio dei più fanatici di Malick: ci mancherebbe, quasi impossibile non riconoscere le qualità artistiche di questo film.
Film che sa di "pensato", "ponderato" in ogni inquadratura, in ogni stacco, in ogni dialogo. Dialoghi in senso stretto, però; perché la voce fuori campo che straparla, ormai marchio di fabbrica Malick, proprio mi è indigesta; già il fatto che sia sospirata la rende un po' irreale, un po' ridicola, oltretutto dice o cose incomprensibili, o versi di una stucchevole poesia scritti da un ragazzo ai primi esperimenti, o ciò che è evidente, dando luogo ad uno sgradevole effetto di sovrapposizione del mio pensiero (che, tra l'altro, si muoverebbe libero, magari coprendo distanze che Malick, semplicemente, non ha avuto tempo di includere nella pellicola) con quello esplicitato nel film. Ma a parte il fatto che domande esistenziali del tipo "Perché siamo diventati così cattivi?" dovrebbero scattare autonomamente, posso anche condividere l'idea che ribadirlo alle fantastiche masse che affollano le sale cinematografiche (magari con veri e propri "guerrafondai", appassionati di armi "Hobby&Work" e altro, in prima fila) male non faccia. Verissimo che la "voce Malick" in questo film ha anche un suo senso, l'ingarbugliamento (o, perché no, per quei marines, lo scioglimento) delle idee che avviene nelle teste dei protagonisti chiama in aiuto quest'astuzia per tradurre cinematograficamente, per il pubblico fruitore, impressioni e ricordi. Tornando ai dialoghi in senso stretto, c'è solo quel "è tutta proprietà", con cui il Serg. Seann Penn "Welsh" liquida i complimenti del capitano, che m'è rimasto sullo stomaco tutta la notte...sono curioso: interpretazioni? Forse solo una cattiva traduzione e tutti a nanna col sorriso.
Anche le immagini oniriche, che straborderanno su pellicola e pubblico in "Three of Life", sono limitate e non spezzano il ritmo della proiezione, per altro elevatissimo per un film di questa durata e di questa impostazione. Tagliando quella della ragazza amata che vestita entra in mare (sia perché troppo astrusa, sia perché quando inizia lo spettatore ha bisogno di tornare alla scena precedente il "sogno", alla guerra) sarebbe stato meglio, ma qui esagero, qui, effettivamente, sto rompendo.
Malick sa osservare la Natura, la sa amare, questo è lampante. L'aborigeno che sfiora, inesorabile ed eterno, la colonna di soldati, il pulcino che cerca riparo dalle esplosioni, la vegetazione che le prova tutte a far ragionare questi folli, a dissuaderli da attraversare in massa quella cacchio di linea rossa. Molto suggestive e funzionali, queste sì, ad esplicitare l'incomprensione verso questi omuncoli che si dannano invece che farsi uno spinello in spiaggia.
Appositamente per ultimo, perché questo E' un FILM di GUERRA, voglio consigliare questo film per le sue stupende sequenze belliche, pura Seconda Guerra Mondiale, puro movimento, puro fuoco esplosivo, pura durezza proiettili che perforano, fanno male. Quel dannato bunker giapponese sulla collina rimane a lungo nella testa degli spetttatori (l'ho ricordato dopo 14 anni). Allontanandosi dalla prima linea, eccezionali (per veridicità e originalità) scene di vita militare, con una copertura se non totale, molto accurata, dei molteplici aspetti pratici che accompagnano ogni guerra moderna.
In definitiva: questo e il primo ("La rabbia giovane") sono i due film che mi sono piaciuti di più di Terrence Malick, entrambi molto ben girati e affascinanti. Il filo che conduce lungo tutta l'opera del regista texano è ormai visibile e, personalmente, credo si tratti di poca cosa rispetto ai grandi dell'Olimpo cinematografico. Anche "You spin me around" è un pezzaccio incredibile, che ancora adesso miete vittime, ma avete mai parlato dei "Dead or Alive"? Ecco, appunto, Malick soltanto survivor. In un altro editor scrissi che in 15 anni si possono imparare molte cose, mannaggia è anche vero che in 12 anni i difetti possono esplodere.
(depa)

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