Extra: Léaud & Strummer sussurrano "Vivi!"

Il Cinerofum, è evidente, si è preso una cotta paurosa; è in trance! Pura "Aki Kaurismäki mania", voglia di cinema che fa sognare con eleganza, che ironizza con intelligenza, che si ferma sulle espressioni, che è innamorato della musica e del conforto che può dare. "Ho affittato un killer", del 1990, è uno dei primi film con cui il regista si è fatto conoscere in Italia e, in effetti, è un biglietto da visita completo.
Che bello girare tra i fillm, come nei caruggi di un bel centro storico, e incontrare facce conosciute; inizia il film e "Toh!", il caro Jean-Pierre Léaud (a.k.a. "Antoine Doinel"), con qualche ruga in più certo, ma sempre con quello sguardo stralunato con cui crebbe tra le braccia di Godard e Truffaut. In questo film divertente, con una malinconia diffusa che però sfocia nelle ironie della vita, c'è modo di apprezzare, ancora una volta, l'attenta fotografia del regista e dei suoi collaboratori (ormai Elena ha ben chiaro quel verde-blu cui ha dato il nome di "Verde Kaurismäki"), ma anche di confermare quale passione per la musica muova la cinepresa del regista finlandese. Basti guardare la dolce apparizione di Joe Strummer che pare cogliere l'occasione per riappropriarsi di quelle performance cheek-to-cheek che il nuovo mondo non gradisce e non permette più.
Se ci si aggiunge che, dopo aver visto alcune interviste al regista, si inizia a riconoscerlo come fosse il vicino di casa, quando compare come venditore di occhiali da sole ("costano una sterlina"), in sala Uander è vera eccitazione! E la Ele inizia a dubitare dei miei (e quindi suoi) gusti...
La trama è una semplice storiella "in versi" cinematografici (di quelli che solo Kaurismäki sa recitare), ma che, marchio di fabbrica del regista finnico, sottende grida e brutture. E avanti, alla ricerca di Kaurismäki sbagliato...
(depa)

1 commento:

  1. Una storia semplice, resa appassionante e intrigante dalle riprese del regista che è chiaramente un amante dei dettagli come espressione di situazioni e sensazioni, dalla macchina da scrivere alla pistola che uccide, e che sa regalare momenti di suspense grazie a stacchi rapidi e precisi, dal gancio che non regge facendo un botto “nel nero”, alla macchina che non frena e paralizza di paura il volto della bionda venditrice di rose.
    Il protagonista è un personaggio decisamente multiforme: un po’ “fantozziano” prima, triste e depresso fino al “catastrofismo” poi, deciso e innamorato, lunatico, misterioso, ma soprattutto un “uomo che non c’era” che nulla cerca e a cui tutto e di più accade.
    Una pellicola di poche e centellinate parole, con un ritmo blando, ma non moscio, il cui punto di forza sono le riprese/immagini.
    Non credo di essere un fan di questo genere di cinema, ma la noia anche ieri sera non ha abitato di certo in sala Ninna.

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