Extra: quando Rossellini giocò (neppure tanto...)

L'altro ieri il Cinerofum s'è bardato per bene, giubbotto pesante, sciarpa e cappellino, per andare all'Oberdan a vedersi un Rossellini dal titolo tutt'altro che roboante; una pellicola che, di certo, non viene annoverata tra i suoi Grandi Lavori ma che, nella sua leggerezza, sottende temi profondi e, soprattutto, lo stile delicato-incantato-vero del regista romano. "La macchina ammazza cattivi" è una favola ambientata in una meravigliosa Maiori (vicino ad Amalfi), iniziata nel 1948, finita nel 1952, con tanto di morale finale.
Il film inizia con un prologo (richiamo alla della "commedia dell'arte") in cui vengono anticipati l'ambientazione e le caratteristiche dei personaggi (furfanti e giusti, malandrini e onesti e così via), con sovrapposizione di immagini in dissolvenze, durante le quali una mano allestisce una sorta di scenario di cartone (come in un teatro di marionette); poi, con eleganza, la mano deus ex machina da il la spingendo un'automobile lungo la panoramica strada della costiera amalfitana. Si capisce subito che, in questo suo, Roberto Rossellini vorrà divertire e divertirsi, senza rinunciare ad affondare le mani in ciò che più gli piace (e gli piace rappresentare): i volti, le rughe, le espressioni e le abitudini della gente comune; a tratti un suo giudizio su alcuni vizi e peccati popolani, invero, traspare dalle scelte stilistiche, ma questo per eccesso di sincerità, di naturalezza cinematografica e, comunque, nell'epilogo il regista tira le somme chiarendo che giudicare sembra facile ma in realtà...
Non solo, però: il film non rinuncia a ricordare (denunciare, forse, è un'espressione forte per il clima che si respira in sala) quali siano le costanti assurdità e i consueti malcostumi che attanagliano la condotta dell'uomo singolo e, su su, sino a quella delle istituzioni che l'uomo singolo dovrebbe amministrare
Sullo sfondo, impossibile non innamorarsi di un paese ("fotografato" magistralmente) che trasuda pesca e tradizioni, in moto perpetuo tra scale che s'inerpicano verso i limoni e si posano verso il mare, brulichìo di gente che le mani se le sporca con dignità e altra con disonestà (normalità).
Film classificato "di transizione", non disarma e affascina come i pilastri neorealistici del regista, ma intrattiene piacevolmente e, come ogni favoletta, cerca di suggerire una condotta.
(depa)

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