Che nero il primo "Raggio"!

In sala Uander, ieri sera, ha fatto il suo ingresso un regista americano che ha lasciato il segno negli occhi dei due soliti spettatori (io ed Elena), ma non solo; Nicholas Ray, pare abbia portato una bella turbolenza sul cinema d'oltreoceano (e quindi mondiale) della fine degli anni '40. E noi del Cinerofum, con umiltà, ce ne siamo accorti. Infatti, "La donna del bandito", girato nel 1947, ha tutte le caratteristiche della "mano di bianco" sul cinema noir dell'epoca, ricco com'è di dinamicità e coraggio artistico. Ma leggiamo.
Inizio col precisare che, sopra, ho scritto "girato" poiché il film risulta distribuito nel 1949 (in U.K. l'anno prima); in effetti, il film in fase di produzione ne ha passate un bel po'...6 anni di gestazione, con circa altrettante revisioni della sceneggiatura, epurata via-via da tutto ciò che poteva urtare la sensibilissima censura dell'epoca: suppongo e spero (e dubito) che la stesura iniziale fosse un porno con tutti i crismi...Comunque, rappresentando il debutto alla m.d.p. del regista statunitense, è facile capire quanto egli puntasse su questa pellicola. Chi la dura la vince e anche bene. Nicholas Ray portò a termine una pellicola dal fascino intenso e provocante. I personaggi giungono realistici al pubblico; se è vero che in Italia, in quegli anni, il neorealismo aveva già squarciato i drappeggi, i noir continuavano ad avere un po' di cerone sulle gote. Perciò, Bowie e Keechie, i due protagonisti (Farley Granger, il laido invasore del "Senso" viscontiano, e Cathy O'Donnel), sembrano mossi da sincera dolcezza e malinconica vitalità che si possono toccare; le parole che si scambiano sono d'amore e realtà, complice l'uso totale, che Ray applica, della tecnica cinematografica. Riprese aeree che colpiscono (già quella iniziale da un elicottero), dissolvenze sapienti, piani multipli funzionali (l'insegna luminosa della agenzia matrimoniale express) contribuiscono a dare corpo alla storia, a coinvolgere il pubblico, se il ritmo non bastasse: il film è una fuga di 90 minuti, dal proprio passato, dai propri errori...dalla "pula". I personaggi, mi ripeto, sono caratterizzati abilmente e senza riserve: Chickamaw "L'orbo", con la sua permalosa malvagità, emerge con forza (appassionante la sequenza in auto dopo il secondo "colpo", con l'elegante artifizio della radio in galleria e l'aggressione schivata da Bowie). Ma, nel bianco e nero stupendo della pellicola, emerge anche lo sfondo, fatto di Stati Uniti d'America affamati. La lotta per la sopravvivenza traspare magnificamente attorno a questa splendida storia d'amore; l'amicizia è roba finta quanto quel matrimonio "1,2,3, fatto!"; la parola "onore", sbandierata a prezzi bassissimi, è quella stessa che ha mandato in galera più di un amico...E' vero, il film potrebbe trattarsi del capostipite del filone "Bonnie & Clyde", anche se, la dolce Keechie non ha le caratteritiche proprie della complice (men che meno quelle di Mallory Nox). Ma senza bisogno di invogliarne la visione con collegamenti un po' forzati, dico di mettere alla prova questo film in cui i cm di pellicola diventano ore dense d'emozione, un crescendo in cui, proprio quando i due fuggitivi hanno i sorrisi più grandi e i sogni più messicani, cade loro addoso...il destino (non a caso, sotto forma di altra donna che ama).
Indimenticabile la toccante (e astuta) scena in cui Bowie si abbandona a promesse e supposizioni, mentre il pubblico conta i secondi/metri che separano la polizia dalla fine; straziante quella in cui deve anche subire la vista di una coppia sul cammino della felicità.
Un grazie sincero che sa di rancido, Il Cinerofum, stupito di come un esordiente abbia potuto padroneggiare in tal maniera tutti gli elementi a disposizione, sputa sul tappeto. E subisce quella dolce e ingenua lettera pronunziata da un volto che a Bowie rimarrà nascosto per sempre.
(depa)

Nessun commento:

Posta un commento