Extra: Scola d'arte non Fracassa

Ieri pomeriggio su Iris è stato mandato in onda un fillm del 1990 di Ettore Scola che, sulle prime, potrebbe essere relegato tra i film per ragazzi, ma che in realtà racchiude elementi d'alto cinema, nella scenografia, nella fotografia e nelle interpretazioni degli attori, che realizzano, tutti insieme, attimi di risa e di poesia. "Il viaggio di Capitan Fracassa" è un vero e proprio gioiellino della Settima.
Mi sono imbattuto per caso in questa pellicola ed è stato un piacere veder apparire, uno dopo l'altro, vecchie facce note del cinema nostrano; a cominciare da quel Massimo Troisi che, punta di diamante, assicura sempre l'elevato livello minimo, sigillo di garanzia. Il regista di Trevico (mille abitanti avellinesi, tra Puglia e Basilicata), romano d'adozione, li muove tutti con eleganza, facendo sì che il racconto non declini troppo nella farsa, nell'approccio superficiale alla realizzazione di questa che è, in fondo, una racconto per ragazzi. Quindi Ornella Muti è bravissima a "riempire" il personaggio interpretato con un'umanità credibile, fatta di turbe, di dolori e di slanci vitali; il giovane svizzero Vincent Pérez riesce abilmente a ricreare il carattere timido e imbarazzato, ma carico di dignità e tenacia, del Barone di Sigognac; la bellissima Emmanuelle Béart, assieme allo scalcinato Jean-Francois "Matamoro" Perrier, danno vita a quadretti ricchi di sofferenza e poesia.
Poi sono in molti a comparire, tutti contribuendo alla realizzazione, solida quanto affascinante, di questa favola che intrattiene con piacere e con arricchimento per il pubblico; pubblico che può cogliere l'occasione per conoscere alcune consuetudini delle compagnie teatrali e dei signori (più o meno possidenti) dell'epoca. Ciccio Ingrassia fa la parte del tenero servo di un barone dal titolo ormai sbrindellato, Claudio Amendola è il brigante dalle truppe di pezza, Marco Messeri è azzeccato nella parte del Marchese su di giri, Tosca D'Aquino (agli esordi) sanguigna attrice sinceramente innamorata di ciò che ha (la scena con Troisi "Pulcinella", il loro ultimo, profondo, abbraccio, rende merito anche a lei); tutti sorretti da altri attori, classe '20, a portare la propria esperienza.
Concludendo: un'opera completa, con spazio per le tradizioni e i dialetti, con Scola e Trosi magici nel tenere su il tutto; la commedia dell'arte e il cinema possono andare d'amore e d'accordo.
(depa)

1 commento:

  1. Nel 1989 con "Splendor" (recensito da poco sul 'rofum), Ettore Scola e Massimo Troisi, insieme ad un azzeccatissimo Marcello Mastroianni, ci hanno raccontato il cinema. Un anno dopo, con questa grande pellicola ed insieme ad un grande cast di attori, già ampiamente descritto da Depa, ci hanno raccontato il teatro.
    I momenti di poesia sono effettivamente piacevolissimi e dati dal fatto che, all'epoca in cui è ambientata la storia, gli attori erano degli "artisti di strada", degli "zingari", che non andavano avanti a campare con quel mestiere di certo, ne per quel tozzo di pane guadagnato in un paesino di poveri contadini, ne per qualche moneta d'oro guadagnata recitando in qualche piccola corte, ma soltanto per la passione e l’amore per il teatro stesso, e tutto questo allo spettatore arriva a più riprese.
    Per di più, c’è un grandissimo Massimo Troisi (Pulcinella) in tutto il film e che si (ri)trova alla grande nella parte dell'attore di teatro, tanto che, alla fine dell'ultimo spettacolo della compagnia, che è anche l'ultima scena del film, subito dopo essermi piegato dal ridere insieme a loro, mi è venuta voglia di unirmi all'applauso che il pubblico dell’ennesima piazza visitata da questa troupe itinerante, gli tributa.
    Valido, piacevole e originale.

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