Simpatica Vendetta coreana

In sala Uander, ieri sera, con la scusa di proseguire la rassegna Carpenter, abbiamo convinto Mr Brown a ri-presenziare al Cinerofum. Fate vobis come siamo messi. Poi, consapevole che, però, un russo degli anni '30 sarebbe un accanimento gratuito (?) nei suoi confronti, ho deciso di ripiegare su un film sud-coreano più "leggero" (mannaggia ai tòpoi!), più consono al ragazzo di Paderno Dugnano che, durante le lezioni di Mario Monti (non alla tele, in aula!), pensava a come recuperare il biglietto per il settore ospiti di turno (Maroni pagherai). Il primo capitolo della "Trilogia della Vendetta" di Chan-wook Park, regista nato a Seul nel 1963, è "Sympathy for Mr. Vegeance", pellicola del 2002.

Visconti e il teatrino borghese

Questa sera, allo Spazio Oberdan, hanno proiettato un film di Luchino Visconti, datato 1974. Seppur stanco, la voglia di vedere un'altra (e poi ancora!) opera del regista dell'estetica pura, dell'eleganza oggettiva e della vera cultura, è tanta. E nelle due ore trascorse l'emozione non è mai mancata; guardando "Gruppo di famiglia in un interno", l'occhio si perde nell'avvolgente aristocratica scenografia, la mente si lascia accomodare tra gli imbarazzi e le delicatezze di una nobiltà che indugia tra solitudine forbita e happy hour senza meta, invitata da una broghesia che irrompe in salotto e demolisce i vecchi palazzi.

Revolver e sirena: i fiori di Kitano

Ieri sera altra sortita del Cinerofum al circolo di Famigliare di Unità Proletaria, dopo aver visto J. Huston dirigere i canti del cigno di Gable e Monroe, questa volta l'appuntamento è col ciclo su contaminazioni ed evoluzioni del noir. Ad oriente, il genere tutto U.S.A. anni '30  (semplificando), è sfociato anche nello splendido cinema del giapponese Takeshi Kitano, il quale, nel 1997, si prodigò nella sua settima opera: "Hana-bi". In questa pellicola l'essenza di Kitano: poesia e dolore, ironia e morte; tutto mescolato, o meglio girato, alla meraviglia.

Ok, chi ha portato il cane?

Che ricordi...tuffi nel passato di questo genere sono sempre un piacevole massaggio alla propria memoria. Il miglior risultato, secondo me, si ottiene quando un film lo si conosce come i cuscini della propria stanza, pressoché a memoria, e poi lo si rivede per la ventunesima volta dopo quindici anni, ciò che è successo a me ieri sera. Rispondendo ad un appello di Elena che, dopo "La cagna" e qualche altro, ha supplicato di staccare con qualcosa di più soft, ho optato per un film che, nonostante la mia concreta e consueta perdita del mondo dell'illusione, mi ha permesso di ritrovarlo comunque, mediante il mio riposizionamento dietro al fantasioso sguardo di quel bambino ragazzo che, sopra ai fantasmi, poteva volare per giorni..."Ghostbusters" è un film del 1984 di Ivan Reitman, canadese d'acquisizione (nato nel 1946 a Komarno, Slovacchia), ma creato dalle menti dei due autori (nonché acchiappafantasmi in carne e ossa) Dan Aykroyd e Harold Ramis.

Taviani e Pirandello: la Sicilia è magica

Appena tornato dalla sala Alda Merini dello Spazio Oberdan, dove ho visto "Kaos" dei Fratelli Taviani, la grande emozione è ancora dentro. Questo film del 1984 è, per me, un piccolo gioiellino incastonato in una filmografia che devo ancora scoprire (quella dei due fratelli), e in un'altra che ritengo sia meglio che si tenga stretta questa pellicola (quella italiana, che proprio dalla quegli anni decise di intraprendere la strada dell'autocombustione).

Billy contro tutti, nessuno con Wilder

Siamo alle solite. Ieri sera, in sala Uander, ancora una volta Billy Wilder è riuscito a lasciare la sala sgomenta. Un anno dopo "Viale del Tramonto", nel 1951, il regista originario dell'attuale Polonia meridionale, realizzò un altro film eccelso", L'asso nella manica", con cui puntò l'indice, in maniera lucida e fredda, sui biechi principi che iniziavano a muovere la società americana di allora, per poi spandersi sino ai giorni d'oggi, coi bacilli del capitalismo, su tutto il territorio mondiale. Il soldo calpesta i corpi e Wilder ce lo racconta con l'ausilio di un Kirk Douglas agghiacciante.

"Signorina...self service!"

In sala Uander, ieri sera, Marco Ferreri ha fatto un'altra irruzione nel Cinerofum, col suo stile dissacrante, destrutturato, da tutti contro tutti, e, infatti, a fine proiezione il battibecco è inevitabile. Col suo "La cagna", del 1971, il regista milanese disorienta i due presenti in sala, a se uno preferisce rimandare alla notte le opportune riflessioni, l'altro non si esime dall'esprimere a tinte forti i fastidiosi dubbi che accompagnano la scritta FINE.

Anonymous, appunto

Qualche settimana fa, in sala Uander, mi sono deciso a vedere un film di cui si è parlato molto negli ultimi anni; non in circoli di cinefili incalliti, certo, e questo adesso mi risulta comprensibile. In effetti, il film è rimasto sulle labbra della gente più che altro per il suo messaggio, piuttosto esplicito e, per certi versi, condivisibile. Però, non solo il film non mi ha coinvolto emotivamente (il che, vi assicuro, è come dire che ad una finalissima a Wembley, a caso, io abbia deciso di uscire nel secondo tempo per andare vedere un balletto: sconcertante se non addirittura irreale), ma mi ha lasciato immobile da un punto di vista cinematografico. "V per Vendetta" è un film del 2005, diretto dall'australiano esordiente James McTeigue.

Chiamami "Serpe"

Ieri sera primo appuntamento con il ciclo dedicato al regista newyorkese John Carpenter. La sala Uander, per consentire la partecipazione di Mr Brown, decide di mettere da parte neorealismo, nouvelle vague e "manici di scopa" in b/n, e di concedersi un excursus in un cinema più accessibile, non perdendo in qualità e originalità: nel 1981, il mondo fece conoscenza col mitico personaggio di Snake Plissken, un Kurt Russel con la benda da pirata che terrà compagnia ai pomeriggi di milioni di adolescenti e non: "1997: Fuga da New York".

Risi-Manfredi: coppia più che rosa

Sabato sera, a Zena, in sala Negri c'è voglia di classica commedia scanzonata all'italiana. Nel 1968, in mezzo a tutto quel rosso (e nero) là fuori, al cinema era possibile trovare ristoro per la mente e le membra; break che non rincoglionisce ma diverte, cinema che fa sorridere senza sbracare: il sapiente Dino Risi + l'eclettico Nino Manfredi + l'ingegnoso Furio Scarpelli + la dolce Pamela Tiffin + una spolverata d'ottimo Ugo Tognazzi, risultato: "Straziami ma di baci saziami", come un "filmetto" può salire sul treno del cinema d'autore.

Rossellini e il nulla della guerra

Sabato pomeriggio, a Zena, dopo un tardivo pranzo da Sa' Pesta e una spensierata vasca sino a Brignole andata e ritorno, c'è ancora un videoregistratore in sala Negri. Le VHS sono di là, nuove, con la polvere sull'involucro di plastica, copertina in bianco e nero, collana sul grande cinema italiano de l'Unità. Decido io, anche per conto di Elena, senza indugio: "Germania anno zero", Roberto Rossellini, 1948, terzo capitolo della "Trilogia della guerra" ("Roma città aperta", "Paisà"). Alla fine del film tremano le gambe. Il cinema italiano, senza attori professionisti, ai suoi massimi livelli.

Ultraviolenza Pop Ludovico Van

Straordinario Stanley Kubrick in sala Uander, io da solo a rimanere sotto shock, per l'ennesima, come la prima, volta. Nel 1971 Stanely Kubrick realizzò "Arancia meccanica", un film destinato a porre una firma indelebile nel libro degli autori cinematografici. Un'opera d'arte, prima ancora di essere una sorta di inno alla violenza, come da molti viene identificato.

Meglio ridicoli che rassegnati!

Oggi pomeriggio, altro "Taviani". "San Michele aveva un gallo" è un film del 1972 liberamente ispirato a "Il divino e l'umano", racconto che Lev Tolstoj scrisse nel 1905, ed è un dolce tributo alla grande tenacia e al goccio d'ingenuità, perché no, di tutte quelle persone che a cambiare qualcosa ci hanno provato sul serio. Protagonista è l'anarchico Giulio Manieri (interpretato, in maniera profonda e potente, dal veronese, Giulio Brogi), il quale, non commette errori, li subisce soltanto.

La Sardegna insegna, l'uomo no.

Il Cinerofum prosegue il filone "Fratelli Taviani" e, accolta in sala Alda Merini anche Elena, si appresta a vedere un film che i "due registi in uno" girarono nel 1977, permettendo loro di vincere la Palma d'Oro: "Padre padrone". Giurìa presieduta da Rossellini: forse i registi si accorsero del "regalino" e restituirono il favore chiamando, due anni dopo, la figlia del Mostro Sacro del cinema italiano per la loro successiva opera, in cui, invero, Isabella si guadagnò per bene la pagnotta. Come per quella, il mio giudizio (si era capito?) è diviso a metà anche per questa pellicola: prima parte che ricorderò a lungo, seconda parte...anche, ma per ragioni di segno inverso.

Triangolo a San Gimignano

Questo pomeriggio il Cinerofum si è recato allo Spazio Oberdan per approfondire un po' il discorso cinematografico instaurato dai Fratelli Taviani, autori freschi di standing ovation berlinese, per il loro apprezzatissimo "Cesare deve morire" (a ragione, a mio modo di pensare). Nel  1979, Paolo e Vittorio Taviani, realizzarono "Il prato", un film a tratti piacevole nel suo liricismo onirico e irrequieto, in altri inspiegabilmente stucchevole per un sentimentalismo che gioca a mosca cieca.

Se tiri la corda, si spezza; il ritmo no.

Questa sera, altro Hitchcock da urlo, strozzato però, perché rimane tutto in gola, non c'è tempo nemmeno per grattarsi le orecchie; "Nodo alla gola" ("Rope", "Cocktail per un cadavere"), del 1948, è una spettacolare prova-vezzo del regista inglese: interamente ambientata in un appartamento, con stacchi che stanno sulle dita di due mani, riesce a far salire la temperatura a livelli equatoriali. Il panoramico appartamento newyorkese diventa un angusto monolocale di Quarto Oggiaro in cui, ai due protagonisti (e a noi in sala Uander), inizierà a mancare il respiro...

Canto del cigno directed by John Huston

Ieri sera, al Cinerofum del Circolo Familiare di Unità Proletaria, sulla sponda nord della Martesana, proprio accanto allo Zelig, io ed Elena abbiamo avuto la possibilità di passare un'ottima serata di cinema. In programma l'ultima delle cinque serate dedicate a Marilyn Monroe, con la proiezione de "Gli spostati" di John Huston, del 1960. Film dolceamaro, pervaso di energia cupa, sulla decadenza di un mondo (il Far West e i suoi cowboys) e di due stelle del cinema (Monroe e Gable, qui nelle loro ultimi interpretazioni, scompariranno a breve), nonostante un primo tempo dominato dal "sorriso che ricorda il sorgere del Sole"...