Diluvio appiccicoso

Stasera, al solito spazio Oberdan, dopo essermi abbuffato (eh, a casa non c'è nessuno, ci si arrangia in giro) con alcuni stuzzichini israeliani (hummus, salatini e coca-cola ?! ) e dopo essermi appassionato (e commosso) sentendo la centenaria Ruth Gruber raccontare di sè ("Ahead of time" di Bob Richman, 2009), mi è toccato sorbirmi questa melassa ambiziosa e vederla sbandare di continuo tra i dirupi, del patetico da una parte e della banalità dall'altra: Guy Nattiv, nel 2010, ha sentito il bisogno di girare questo "Mabul" ("Diluvio").
E' evidente che il regista una vaga idea dell'atmosfera desiderata ce l'aveva, ma il tutto è andato a farsi benedire, non avendo nemmeno deciso in partenza quale stile adottare: un po' camera a spalla, un po' piano sequenza più che accademico (la telecamera che passa dallo sguardo della madre a quello del figlio problematico, in bagno, è agghiacciante). Ma non è tanto la confusione stilistica (stile incolore, inevitabilmente) quanto la sceneggiatura, volete un esempio? Bambini che corrono saltellanti su un prato, un ragazzo ritardato che porta sconquasso in una famiglia già fallimentare per incomunicabilità, un ragazzino che soffre il dispotismo dell'insegnante Yiddish...i bulli della scuola senza scrupoli (che, ovvio, si accaniscono col "problematico"). Non vi basta? Non c'è alcun soffio, nessuna brezza che riesca a portarvi una storia che volete sfiorare, solo goccioloni ambiziosi e noiosi che scendono e vi fanno sentire appiccicaticci (la scena finale è una "tornatorata" d'autore, doppia per altro; senza pudore) ma felici di uscire a prendervi un po' di sano smog milanese.
Salvo solo la recitazione del ragazzo, per il resto evitate questo film in tutti i modi (altro che applausi in sala...tsz).
(depa)

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