"E' meglio che lo faccia, adesso"

Tosto questo film. Un percorso faticoso questo Fassbinder. "Un anno con 13 lune" comporta due ore di trance affacciati sul malessere, ne esci con la sensazione di aver avuto la possibilità di dare una sbirciata giù nel burrone. 1978.
Sequenza iniziale con Gustav Mahler, e chi se no?, a far sì che il pubblico si ambienti subito. Tutto è poesia, non soffice, ma quella di un pugno. O quella di un individuo scaraventato a terra e costretto a scappare gattoni oltre una siepe. Poi lo spettatore deve metabolizzare un altro schiaffo, donna uomo uomo donna, in realtà nulla di strano, eppure sì. E' questo il limite primo che Rainer Werner Fassbinder vuole che il pubblico sfondi. Ce la mette tutta, scena impressionante di bestie sgozzate, macello che suscita vegetariani incalliti ma, a ben vedere, a ben sentire, le bestie sono erette e sono per strada. Vanno in tv pure, diventano capi di stato. Comunque, le letture varie possibili messe da parte, è il male di vivere, Godard pop-art un po' lontanuccio ma con le movenze in primo piano dei corpi che danzano uno attorno all'altro, Antonioni supervisor, Ferreri invece a braccetto (ma quasi quasi lui condotto, questa volta; alla fine del film sembra proprio lui a ritrovarsi preoccupato per la/il protagonista), a instupidire la sala e anche, non escludo, la gente che passeggia in Corso Buenos Aires. Perché il senso di questa pellicola è universale. Quando l'occhio e il cuore si abituano all'essenza di Elvira e ad essa si abbandonano, allora ogni luogo da lei frequentato da apparentemente lurido diventa fantastico. La sala giochi rosarancione, l'appartamento de "La Mistica" (con le candele e la "trottolona" e l'armadio nero che fa pesi), sono spazi in cui "La Puttana Santa" fluttua su una nuvola, aiutata dagli specchi fassbinderiani a raggiungere i punti più reconditi.
Non è facile, questo film; completamente diverso dagli altri visti sin'ora al Cinerofum ("Le lacrime amare di Petra Kant" conducono allo stesso vuoto, ma vi giungono su un mezzo differente).
Anton Saitz è il più pazzo di tutti, ma la sua è una follia normalizzata, accettata, istituzionalizzata, e non è detto che sia stata questa ad averne creata altra. Sono parallele, ma una è chic, è bianca-tennis, l'altra è da ghetto, da manicomio, sa di sporco. Ipocrisia anche ma solo ad aggiungere peso al peso. CIò che opprime più pare essere non tanto il licenziamento infame di fronte ad un cancro, ma la percezione di per sé delle emozioni, delle lettere, dei colori...non è il non volere (apatia?) ma, anzi, è proprio il volere che conduce al non voler vivere, accorgendosi che, miseria!, è davvero troppo.
(depa)

1 commento:

  1. La suora è la madre di Fassbinder, il quale compare, a suo volta, in TV a casa de "La Mistica" (immagini estratte dal documentario di Pflaum "Voglio solo che mi amiate", girato nel 1992, per il decimo anniversario della morte del regista).

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