Confusione cine-ideologica indoamericana

A Venezia 2012, s'è visto anche un altro film brutto sotto molti punti di vista: regia insipidamente hollywoodiana, sceneggiatura con picchi di disarmante banalità e, ciliegina sulla torta, sul piano del contenuto (il termine "messaggio" parrebbe già fuori luogo) ruota attorno a semplici e (quindi) pericolose considerazioni. "The reluctant fundamentalist" è una bruttura diretta dalla regista indiana Mira Nair, evidentemente pienissima di sé e della sua borsa di studio ad Harvard.
Allora sul piano registico, aspettatevi dei gran grattacieli incorniciati in geometriche e accademiche inquadrature, o originalissimi tetti di Lahore (Pakistan), una minestrina quindi. Per farvi capire che cosa può regalare la sceneggiatura vi butto lì qualche aneddoto: un tizio pakistano fa una carriera incredibile e in pochi mesi muove grandi capitali dal suo studio in Wall Street, poi c'è l'11 Settembre e subisce la paranoia americana, venendone travolto. Negli States s'incontra con la figlia di un miliardario si innamorano in un lampo però, udite udite!, lui s'incazza con lei perché ad una mostra (ah già, lei è artista...) si accorge di essere stato usato (a causa delle scritte luminose con "Pakistan" e con loro intime paroline d'amore di coppia)...mi viene da piangere.
In tutto questo infilateci anche questa fetta di carne andata a male: cioè il saltellare furbesco, per nulla storico, né analitico, da Pearl Harbor all'11 Settembre, da Bin Laden all'attuale assetto mondiale privo di qualsivoglia equità. Nessi di causa ed effetto uniti come i punti sulla Settimana Enigmistica. Qui spezzo una lancia: tutti saltano di palo in frasca con tanta semplicità, governano pure su tali basi (e molto altro...)! Però potremmo evitare di farci pure un film (o, quantomeno, di accettarne alla Biennale); cos'è rimasto fuori dalla rassegna per colpa di questo filmaccio?
Io spero di non dovere arrivare a farmi infilare le dita nel sedere da dei ligi policeman newyorkesi, per capire che qualcosa in quella società non stia funzionando.
Insomma, una regista indiana che fa film sull'11/09, che s'intitolano "New York, I love You", a cui luccicano gli occhi facendo shopping per le avenue, non può che sfornare film mezzi "volemose bene", mezzi "ci sta però che poi t'ammazzo", insomma l'intenzione di intavolare una riflessione seria naufraga tra borse con, povera lei, la silhouette di "Colazione da Tiffany".
Ve lo sconsiglio senza dubbio. Ora vi è chiaro il mio giudizio? Poi, ouh, se proprio non volete perdervi il finale mozzafiato a sorpresa...
(depa)

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