"Film" the Void

Ed eccolo, doveva pur uscire, prima o poi, il filmaccio della Biennale di Venezia 2012. "Fill the void" ("Lemale Et Ha'Chalal"), film israeliano della debuttante, newyorkese classe 1967, Rama Burshtein, è brutto, ma brutto, ma brruuttoo...
Perché fare questo film? Per raccontare che i matrimoni vengono ancora stipulati così? Ma il cinema ce lo ha già spiegato e meglio; nella stessa rassegna veneziana di quest'anno, per citarne due, abbiamo avuto la possibilità di vedere come i matrimoni possano essere privi di sentimento ma ricchi d'interesse (economico, religioso, prestigioso...); "Wadjda" nella comunità saudita, "Thy Womb" in quella filippina...sono due pellicole che lo hanno fatto con tutt'altro respiro, aprendo una finestra da cui è ampia la panoramica.
Allora per raccontare una storia in particolare? Lo si è fatto male, appiattendo ogni espressione e lasciando il compito di dare profondità dell'opera a qualche luce bianca sfumata che entra dalle persiane e, evidentemente, alle barbette bianche, a quelle pettinature, a quelle preghiere che dovrebbero suggerire una sacralità da rispettare tout-court, così, già pronta, "questi qui hanno ragione di sicuro" pare il pensiero della regista (invaghita dopo aver studiato nella Città Santa).
O forse mi sbaglio, che ci sia una delicatissima critica da parte della regista? Non credo proprio.
Quindi, questa pellicola non arricchisce riguardo la cultura ebraica, non intrattiene (è una noia mortale), non ha valenza artistica (fotografia vuota, se non infantile). Così come sono ravvicinate, a corto raggio e piccolo respiro, le inquadrature (regìa anonima è dir poco), così lo è anche la sceneggiatura, che nulla racconta se non di una tizia che è contenta di sposare un tizio che non conosce ma, siccome la sorella muore, decide di sposare il vedovo della sorella, per far felice la madre e la comunità tutta (che non sia amore è confessato dall'ultimissima scena). Ultima speranza, tradita, i dialoghi: niente che innalza, lo spettatore rimane ancorato alla poltroncina, il festival della banalità ci consegna massime Perugina.
L'unica cosa interessante è la faccia dello sfigato "ex-promesso" che asserisce di essere un "peperino, che ha polso" e, anche, comprendere sempre di più quanto le religioni tutte siano un vero flagello per questo piccolissimo animale uomo (sotto ogni aspetto; in questa pellicola in particolare, dire che la scelta ultima del matrimonio spetta comunque alla coppia, è una crudele astuzia). Se possibile, mi viene da diventare "più ateo".
Mi permetto di parlare male di questa pellicola perché tanto le voci pro ci sono in rete, "calma, ce n'è per tutti!"; d'altronde qualcuno, nel preparatissimo pubblico milanese, ha anche applaudito...
Almeno fosse finito con la sposa che si dà all'eroina, o che spacca tutto, un po' alla "Piccolo Lord" di Faust'O...niente.
Ho capito: è un film comico.
(depa)

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