Silenzi gridati

Ieri sera, al termine di una giornata dedicata al cinema di Kim Ki-Duk, ho potuto godermi un altro bel film del regista sudcoreano. "Ferro 3" è una leccornia per chi va pazzo per il cinema. Il film che nel 2004 vinse il Leone d'Argento a Venezia (premio alla regìa) è l'ennesima pellicola in versi, a volte musicali a volte stridenti, di quest'autore classe 1960 che, quasi imbarazzante, mostra inventiva e sensibilità disarmanti.
Il cinema di Kim Ki-Duk, per quanto ho capito sinora, è davvero stupefacente. Confeziona poesia e violenza come pochi altri. E decide lui, senza tentennamenti, se spostare la lancetta di un grado in più verso la il rosa di un albero di pesco, o verso il rosso sangue di un volto martoriato. Anche in questo film, recitato in silenzio ma recepito a un volume assordante (il volume della solitudine, il frastuono della prepotenza, il boato con cui la società moderna scoppia i timpani dei troppo puri), si susseguono immagini in cornice che verrebbe voglia di portarsi via dalla sala. Sì, ora m'arrampico e stacco il telo su cui stanno proiettando.
Assieme a pochi altri grandi inventori e coraggiosi fautori di un cinema proprio, tra i registi ancora in vita, Kim Ki-Duk è certamente in grado di creare un'attesa spasmodica verso la sua prossima creazione. Perché il suo cinema d'autore ha il dolce sorriso di una ragazza che guarderesti per ore e l'incantevole magia di una favola di cui si teme il finale.
Il finale. Ecco una nodo centrale nel cinema del regista asiatico. I suoi finali sono turbini magici in cui le foglie delicatamente e perfettamente disposte lungo il racconto, assumono posizioni magiche, mescolando realtà e finzione, rincoglionendo a suon d'emozioni lo spettatore. Ed è una goduria. Anche in questo caso, l'imprevedibilità è solo uno degli elementi che carica di fascino la conclusione di questa emozionante favola metropolitana.
La danza di Tae-Suk in cella, i suoi numeri "magici" che esasperano la guardia, i quadri con la figura della protagonista fatta a pezzi, il ritorno dei due sul luogo della loro tenerezza, i silenzi dei protagonisti, il loro volersi sfiorare senza fastidio, quell'ultima straordinaria sequenza col bacio "nascosto"...C'è simbolismo ma mai fine a sé stesso, tanto per cominciare quel silenzio non è forzato, è musica per le orecchie, grido disperato per il cuore dello spettatore, che vibra...
(depa)

1 commento:

  1. Silenzi sempre vivi e profondi di significati e la dimostrazione che un buon ritmo non è per forza sinonimo di dialoghi serrati e/o tante voci, ma può essere immagini in continuo movimento e alternanza.
    Un altro “delirio” di Kim Ki-duk che scava nella psiche degli esseri umani fino a scovarne i desideri più nascosti e i sogni più assurdi e imprevedibili, atti a catturare e vivere i sentimenti più puri e inconfessabili.
    Ancora una volta non c’è del malsano o dell’amorale nella “follia” da lui descritta in una sua pellicola, ma tanta libertà e anticonvenzionalità che possono stupire chi le incontra, ma non spaventare chi ha il cuore puro e sincero.
    Le riprese del regista coreano rendono plausibile agli occhi dello spettatore qualcosa di assolutamente impossibile e non esiste più confine tra realtà e sogno, ma solamente amore.
    “L’arco” mi aveva portato in un’altra dimensione, ma anche con “Ferro 3” ho vissuto momenti di grande poesia su pellicola.
    Emozionato.

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