Può l'amore ammazzare i morti?

L'ultima volta che scrissi di cinema risale al 2002, forse 2003 in occasione del ciclo "Legge(re) cinema di diritto e di rovescio". E di cinema in effetti molto ho letto in questi 10 anni. Ma come resistere al Cinerofum, ad una raffica incalzante di recensioni sempre più raffinate e stimolanti? Domanda retorica, impossibile eludere il richiamo dunque eccomi qua, emozionata come la prima volta, era il 1992, quando mi espressi sul Cinema puro. In sala "City" vidi una settimana fa "Amour" di Haneke e qualcosa non mi ha del tutto convinta.
Quando esci dalla proiezione e a caldo pensi una freddura del tipo "Andrebbe vietato agli over 60!" e ti concentri a scrutare i volti provati del pubblico e le posture ricurve dei poveretti che magari, fuorviati dal titolo, già pregustavano un film sull'amore senile, col cuore gonfio di speranza e te la ridi sul comico siparietto, qualcosa non va. E ciò a dispetto delle interessanti inquadrature, degli ottimi attori e dell'argomento stesso, l'inesorabile declino della vecchiaia su cui i più grandi (De Sica, Imamura, Kaurismaki, Kurosawa e molti altri) si sono mirabilmente cimentati con risultati artistici stratosferici. Ho passato una settimana a chiedermi perché qui l'effetto risulti immemorabile e blando, si potrebbe dire sottotono, al di là di alcuni specifici apprezzamenti. I singoli ingredienti, se pur di buona qualità, non realizzano un prodotto finale adeguato alle aspettative. Nell'intenzione del regista si tratta di un viaggio agli inferi (lo dicono l'incubo premonitore del protagonista, il suo stato di marasma finale, l'atteggiamento sempre più apprensivo della figlia) ma in realtà questo crescendo drammaturgico resta inespresso, la bomba non esplode, la grammatica che dovrebbe concorrere a questa accelerazione resta muta. L'unica a parlare è infatti un'intenzione, questa la grande forzatura. La tragedia è già all'inizio, è già nella normalità, nella piattezza di queste vite e nulla aggiungono né la malattia né la morte. L'orrore sta già nelle loro giornate (le cene, il concerto, il rientro in metro', la scoperta dell'effrazione) e nella ripetitività delle stesse. Del tutto esclusa è quella fortissima partecipazione emotiva  del neorealismo (sì avete letto bene) precondizione essenziale che permetteva poi di gettare i personaggi e di filmarli nella vita, di oggettivarli, solo però dopo averli amati tantissimo. Qui niente di tutto ciò, esiste solo la decisione dimostrativa-esplicativa di rivendicare l'atto soppressivo come liberatorio, gesto d'amour appunto. Manifesto ideologico sul fine vitae, testamento biologico. Di pietas nessuna traccia. L'altra scelta stilistica era di congelare ogni identificazione, gettare i personaggi nel mondo e di far accadere qualcosa (il dramma è sempre movimento, azione) ma qui, mi ripeto, tutto è già accaduto: se pur ancora deambulanti, si tratta di corpi vacui, appena tenuti insieme da un flebile amor di musica che nulla rivitalizza, la situazione dunque non precipita. Banali i due momenti (al pianoforte e in cucina) in cui la memoria di lui riesuma la presenza immaginaria della moglie, col probabile intento di poeticizzare il testo (con cosa, con lei che lava i piatti?). Meglio sarebbe stato limitarsi alla scena in cui lei, guardando antiche sue foto, rimpiange ciò che, non l'handicap, ma la vecchiaia stessa ha irrimediabilmente precluso. Qui infatti non si muore di amore ma di consunzione e declino psicofisico, al massimo una sana pietas va a troncare un rapporto sado-maso in cui volano anche i ceffoni.
Retorica la musica, meglio i silenzi. Risultato ambiguo, forse a Cannes non c'era di meglio e, vedendo i film di Venezia, non mi stupirei se, in relazione agli altri, questo fosse il capolavoro.
(marigrade)

3 commenti:

  1. A parte il fatto che, nella versione pubblicata, è scomparso il ringraziamento ad una persona importante...non possiamo che gioire, noi tutti del 'Rofum, per un ingresso di questo livello nella nostra umile iniziativa (noi Imamura non sappiamo nemmeno se sia una persona o un processo biologico; poi quella sostanza data all'abusato termine "neorealismo" per noi è linfa).

    Grazie per il tributo iniziale al Cinerofum. Lusingati.

    Quanto al film lo vado a vedere questa sera e vi dirò la mia.

    Ciaps!

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  2. Sì, l'ultimo film del regista austriaco non è nulla di che. Alcuni punti sono pure da dimenticare: il piano suonato "per sogno", così come la scena in cui lui "ritrova" l'amata in cucina (per una banalità del genere la Palma d'Oro dovrebbe venire tolta dalle mani), i primi piani sui quadri (pure bruttini)...ah, li hai già citati tu. Io non salverei nemmeno la scena dell'album. Com'è possibile che un film apprezzato mostri una parentesi di quel tipo? Tutti i giorni guardiamo una nostra foto, creando un piccola incrinatura nel cuore. Quindi il regista non ha il dono dell'originalità (o del pudore).
    Alcune cose mi sono piaciute, oltre alla prove di grande livello dei due attori protagonisti (come hai scritto tu), la delicatezza delle immagini inziali, quando in casa regna ancora la salute. In questo senso, ma', il tuo commento è un po' cinico. Primo, non hanno 60 anni ma 80 e, secondo, non mi pare che i due se la passassero troppo male. Già morti? Mi sembra eccessivo. Arte e cultura tengono in vita per mille anni. Haneke non ci porta per mano agli inferi, è vero, non c'è un accompagnamento; ma la tragedia che si vuole raccontare in "Amour" è quella improvvisa di un ictus.
    Per certi versi le scene coi piccioni sono quelle che ho preferito, innalzando il film da triste cronaca senile a qualcosa di più poetico, ma solo per pochi minuti.
    E proprio mentre mi stavo chiedendo da dove venisse il titolo della tua recensione, il mitico Trintignant ha agguantato il cuscino...Ecco, l'effetto di quella scena su di me è stato strano. Quindi, per certi versi, in questo caso il regista ha fatto centro. Mi spiego: la scena era "sbagliata" dal punto di vista teorico, lo spettatore, diviso tra i "male" della moglie ed il racconto del marito, non percorreva un contrasto (effetto desiderato), ma si perdeva punto. Mancavano gli "appigli", che chi fa cinema conosce bene, gli elementi cui il pubblico potesse dedicarsi (dolore di uno, dolore dell'altro). La scena non era "mantecata" parlando come una busta Knorr. All'improvviso quel gesto a spezzare il caos della scena, uno schiaffo forte sullo spettatore. Non male.
    Pochi elementi, concordo, ennesima Palma d'Oro rinsecchita.

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  3. Prima di tutto, sono io che ringrazio entrambi per questa “lezione di cinema” che mi/ci avete dato, con questo scambio di sapienti, argomentate e approfondite opinioni su questa pellicola.

    Visto ieri sera. Un’emozione d’“Amour”, con questo film, neo-vincitore del Premio Oscar come miglior film straniero, io l’ho vissuta in una delle prime scene, proprio quella nella quale, mi permetto Marigrade, gli ormai anziani Georges e Anne rientrano a casa dopo il concerto di pianoforte e lui, come un ragazzino che rientra dopo una serata con la fidanzatina, le chiede se si vuole fare ancora un bicchiere perché, chiaramente, più che il vinello, era la sua presenza che desiderava ancora.
    Poi la pellicola è scivolata via lasciando la mia mente e il mio stomaco abbastanza in relax…
    Dato che lavoro con gli anziani da tanti anni e, purtroppo, casi del genere ne ho visti parecchi, posso assolutamente confermare il giudizio positivo sulle ottime interpretazioni degli attori, in particolare di lei: nella scena in cui lui le dà da mangiare, Emmanuelle Riva è fenomenale nel riprodurre le movenze, gli sguardi e le reazioni secche e improvvise, oltre che i “suoni”, di una persona che, purtroppo, vive in quelle condizioni. Sicuramente, prima dell’inizio delle riprese, l’attrice francese avrà fatto un grosso lavoro di “studio del personaggio”.
    Ma posso anche dire che, se la pellicola ha lasciato totalmente “incolume” il mio stomaco e la mia mente, effettivamente, è perché tutto il dramma è incentrato più sull’“l'inesorabile declino della vecchiaia” (alla quale oramai sono abbastanza “insensibile”), che sull’amore.
    In più, anche secondo me, non regala particolari momenti di poesia (la scena del piccione mi ha lasciato perplesso…) e offre un colpo di scena che colpo di scena non è e senza “gli "appigli", che chi fa cinema conosce bene, gli elementi cui il pubblico potesse dedicarsi” di cui scriveva (mi/ci spiegava) Depa.
    Insomma, recitazione a parte, non mi è piaciuto tanto. E’ vero che, come immagino si sia capito, l’argomento non è trai miei preferiti, ma è anche vero che, per esempio, recentemente ho visto “A simple life” di Ann Hui e l'avevo giudicato positivamente perché, a differenza di questa pellicola, non vive di “immagini forti” e al fianco della malattia e della vecchiaia, c’è “un mondo” e tanta poesia, che in questa pellicola, ribadisco, mancano.

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