In viaggio con una famiglia decisamente originale

Anche in questi giorni di feste continua il mio periodo di fuoco al lavoro e così mi devo rifugiare nelle mie passioni (in questo caso, il cinema) per provare a non pensarci e a rilassarmi dopo una giornata di duro lavoro domenicale che mi ha lasciato zero energie nel fisico e nella mente. Ma capiamoci: non mi lamento. Anzi, in questo periodo di feste e bagordeggiamenti un po' per tutti, prima di buttarmi nell'analisi di quest'ottimo "Little Miss Sunshine" (2006), mi sembra giusto rivolgere un pensiero a quelle persone, sparse per il mondo, che motivi "per lamentarsi" ne hanno veramente. Penso al polpolo siriano, a quello palestinese, alla gente e ai bambini del Sudan, ma anche a chi “semplicemente” è rimasto senza lavoro e vorrebbe tanto avere i miei “problemi”.
Questa pellicola mostra un purpurrì di valori e disvalori di una famiglia e della società e la speranza che nuovi, giusti valori prendano il sopravvento e che certe tragiche situazioni cessino sono due speranze assolutamente una consequenziale dell'altra.

“Little Miss Sunshine” è un film del 2006 diretto da Jonathan Dayton e Valerie Faris. La pellicola, che ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali, tra cui spicca il premio Oscar come migliore sceneggiatura originale a Michael Arndt,  racconta le vicende di una famiglia allargata e del loro viaggio verso la California per permettere alla figlia minore, Olive, di partecipare ad un concorso di bellezza per bambine.
Questa famiglia medio-borghese è composta da un padre che crede fortemente nel fatto che le persone si dividano in due categorie, i perdenti e i vincenti, e che su questa teoria ha scritto un libro e ne ha fatto quindi una professione, una madre che ha come unico pensiero il benessere e l’unità della famiglia, un nonno eroinomane perché “tanto oramai è vecchio”, un figlio adolescente che non parla da nove mesi per un fioretto, uno zio, fratello di lei, che è appena uscito dall’ospedale dopo un tentativo di suicidio e la piccola Olive che sogna di diventare Miss California. Una famiglia decisamente originale che affronterà una serie di difficoltà durante il tragitto, alla fine del quale, tutti quanti torneranno un po’ cambiati.
Il film ha un ottimo ritmo che è lo stesso che deve tenere questa piccola comitiva, con il mitico, ma un po’ sgangherato, pulmino Volkswagen T2, per raggiungere la meta in tempo per iscrivere la bambina al concorso.
Attraverso le vicende di questa famiglia e la messa in mostra dei loro princìpi e delle loro azioni, la pellicola, come detto, indaga una serie di valori e disvalori presenti in questa società (americana). L’unico appunto che mi sento di fare è che ciò viene fatto ad un livello superficiale, ma il tono e l’impronta di questo film è quello della commedia ed allora forse è un’impostazione per scelta, condivisibile o meno che sia, e non una mancanza da parte degli autori e dei registi.
Alcune inquadrature le ho trovate particolarmente azzeccate, buona la recitazione di tutti gli interpreti, perfetta la colonna sonora e, tutto questo, rende giustizia a questa originale e molto valida sceneggiatura.
La componente che mi è piaciuta di più è il finale: valido nella sua essenza, ma soprattutto nella sua struttura perché secco e deciso, cioè privo di inutili “code”.
In conclusione, giudico questo film certamente non un capolavoro, ma sicuramente valido e meritevole di essere visto.
(Ste Bubu)

P.s.: ringrazio Forkas per il consiglio e mi scuso per il ritardo, ma, come sai, mi ero sciolto! ;)

1 commento:

  1. E non c'è verso. Rivederlo dopo più di 5 anni non ha cambiato il mio giudizio. Provo quasi imbarazzo nel vedermi "occhi dolci" di fronte al primo lavoro cinematografico dei due coniugi registi americani. Perché scorre tutto liscio, è una commedia perfetta. Difficile trovare difetti.
    Divertente, spiritosa, intelligente, ben cadenzata, ben girata (il montaggio della sequenza iniziale con la bimba davanti alla tele; le immagini dei nodi autostradali che incombono sulla famiglia).
    A mio parere, la superficialità di cui parli tu, Bubu, è la stessa che accompagna le nostre vite (con eccezioni, si spera). Quindi, certo non c'è profonda analisi, ma grande sensibilità nel riproporre, non accentuati ma sommati sì, gli stereotipi insuperabili di questa dannatissima società dei consumi (se suggerisce una via, francamente è inappuntabile: non c'è alcuna istigazione ad essere diverso, bensì se stesso; quindi i bacchettoni con la chiave in tasca tutti a letto senza cena).
    Appartenente al filone dei film indipendenti intelligenti d'oltreoceano (quelli che si guardano un po' attorno) può contare su una seceneggiatura davvero azzeccata e su interpretazioni curatissime.
    E' geniale che siano partiti tutti, è geniale che sia andata Olive a parlargli...così come è ottimo il finale (sono d'accordo con te) nel suo "non stroppiare" : è una divertente favola moderna in cui il "vissero tutti felici e contenti" è un asciutto tornare a casa, solo un po' cambiati, appunto.

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