A Scola di relazione tra padre e figlio

La mia testa è ancora abbastanza “abbottolata” dai festeggiamenti per la fine dell’anno, ma proverò comunque a scrivere qualcosa di sensato su questo piacevole “Che ora è” di Ettore Scola, datato 1989, che ho visionato ieri sera.
In ricordo della nottata trascorsa in giro per uno stranamente divertente e non eccessivamente affollato centro storico genovese, vestito a festa per capodanno, do ancora un po’ i numeri: sesto e penultimo appuntamento in sala Ninna con la filmografia di Massimo Troisi, terzo film nel quale l’attore partenopeo venne diretto dal regista di Trevico e secondo che questo succede in coppia con l’allora ormai vecchio, ma ancora in gran forma, Marcello Mastroianni.
Dopo aver visionato, decisamente apprezzato e commentato “Il viaggio di Capitan Fracassa”, già recensito sul ‘rofum, mi sono avvicinato a questa pellicola abbastanza sicuro di passare due orette piacevoli ed effettivamente così è stato.
Un film molto diverso dai due che avevo precedentemente visionato di Scola. La sceneggiatura vive praticamente tutta sul dialogo tra un padre (Marcello Mastroianni), avvocato romano, ricco e di successo e suo figlio Michele (Massimo Troisi) che si trova a Civitavecchia per l’anno di servizio militare, dopo aver concluso gli studi laureandosi in lettere, dove il padre si reca per trascorrere una giornata con lui.
Quello che il regista e sceneggiatore Scola ci propone è l’analisi di una delle più classiche situazioni di scontro generazionale e attrito tra un padre ed un figlio: il padre è un uomo "tutto d'un pezzo", dedito totalmente al lavoro e alla carriera, mentre il figlio è molto più “take it easy”,  tanto che il padre, preoccupato per il suo avvenire, comincia a prevaricarlo nelle scelte per il suo futuro.
La pellicola scorre veramente piacevole grazie alla qualità dei dialoghi molto lineari e ben sviluppati, ognuno dei quali ci svela ogni volta qualcosa in più del carattere dei due protagonisti e di dove essi si scontrino e del loro rapporto in generale, e grazie alla splendida recitazione di questa grande coppia di attori, sia a livello verbale che non. In particolare Troisi ha un modo di gesticolare che rende la sua recitazione ancora più perfetta e d’impatto, mentre Mastroianni una mimica facciale e un espressività del viso assolutamente superlative e in un film come questo che spesso ricorre ai primi piani è qualcosa di veramente bello da vedere per gli amanti della settima.
Alla fine, dopo una giornata di discorsi e passeggiate, si arriva ad un punto di scontro chiaro agli spettatori e ai due personaggi fin dall’inizio, ma quello che prevale è comunque, anche questo chiaro per tutto il film, l’affetto che c’è trai due attraverso un finale azzeccato, simpatico e perfettamente “in tema”.
Ormai  mi manca solo il celebre “Il postino” da (ri)visionare e recensire, quindi posso già tirare le somme di questo mio viaggio alla scoperta del cinema di Massimo Troisi: per me, il film più bello in generale e completo è quello del suo esordio “Ricomincio da tre” , il più divertente “Pensavo fosse amore invece era un calesse”, la pietra miliare per la commedia italiana l’ha lasciata in collaborazione con Roberto Benigni con il mitico “Non ci resta che piangere”, mentre la collaborazione con Ettore Scola ha prodotto tre pellicole particolari e molto gradevoli.
Nei prossimi giorni, quindi, ultimo appuntamento con la filmografia di Troisi, con il pluripremiato film del 1994 sopra citato, ultima opera di questo grande del cinema nostrano, ora che lo conosco meglio lo dico con ancora più convinzione, purtroppo, prematuramente scomparso.
(Ste Bubu)

1 commento:

  1. Un film delicato sul contrasto generazionale per definizione, quello tra padre e figlio. Delicato ma con molte punte d'amaro; l'atroce realizzazione, tramite repentini scorci d'immagine, dell'ormai irreversibile invecchiamento del padre, è un momento sconvolgente per tutti; qui Troisi tiene a bada quell'attimo per non caricarlo eccessivamente. Che, poi, "tutto d'un pezzo" papà lo è sino ad un certo punto, più simile nella realtà all'insicurezza di proprio figlio, che alla ipotetica realizzazione di sé. Difatti sarà un dialogo dall'andamento altalenante, isterico, un muro contro muro che inaspettatamente si apre su ampie distese di tenerezza. Ma la verità è che pochi (o nessuno) imparano a convivere col trascorrere del tempo (e degli affetti). Sempre in una posizione di guardia che irrigidisce gli abbracci.
    Intimo trio di artisti da non perdere.
    Grazie a Bubuclat per la soffiata.

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