Carino, gli serve un restauro

Proseguendo sul sentiero del cinema israeliano contemporaneo, ieri sera mi sono imbattuto in "Restoration", film del 2012, del regista israeliano Joseph Madmony. Il film parte bene, sin dai titoli di testa s'intuisce la sensibilità dell'autore (ritmo ed estetica). Purtroppo il regista non si fermerà e farcirà la pellicola con tutti i temi che gli passarono per la testa, parcheggiando personaggi e troncando situazioni, riprendendo i fili quando ormai sarà troppo tardi. Accozzaglia che fa l'occhiolino al cinema hollywoodiano che non merita nemmeno uno sguardo.
Dopo aver sorriso per aver ritrovato un vecchio "amico", Sasson Gabai (protagonista del bel film "La banda", 2007, dell'israeliano Eran Kolirin, di cui ieri ho recensito la seconda pellicola), e aver apprezzato una prima parte di film che pareva in grado di soffermarsi sui silenzi e sull'evoluzione interna dei sentimenti dei protagonisti (poche parole, pesate, inquadrature che tagliano spesso i volti per soffermarsi sull'"altro" che c'è dietro, dentro), m'è toccato far di continuo spazio al nuovo tema presentatoci dagli autori. Vi faccio una lista della spesa, dei temi/intrecci: economico (attività da portare avanti), penale (morte da chiarire), familiare (conflitto padre/figlio, moglie/marito e ragazzo/famiglia), amoroso (colpo di fulmine tra i due bei ragazzi), culturale (tutela delle arti, detentrici dei valori puri), strettamente narrativo (la trovata del pianoforte)...vecchiaia...
Non escludo che si possa realizzare un film in cui suddetti elementi risultino armoniosamente amalgamati, però il coefficiente cresce in maniera proporzionale al loro numero. Coraggioso il regista, ma l'asticella non è toccata, è travolta. Troppi i piani su cui si è costretti a saltellare (l'attentato al preziosissimo pianoforte è fuori luogo). Forse il finale testimonia il fatto che il regista di Gerusalemme si sia accorto dell'eliminazione, provando a tirare le somme in maniera grossolana, tralasciando qui e rammentando là, consegnando un finale astutamente ambiguo, un po' "tutti felici e contenti...della propria carrozza-zucca e del proprio abito/straccio".
Tutti ottimi sentimenti eh, alla fine del film ci vogliamo un po' più bene (a parte che i due ragazzi sono tremendamente arroganti), ma il cinema non deve necessariamente raccontarli; se lo fa, deve farlo bene.
(depa)

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