A tutti i cittadini Kane

Tutti in piedi. Orson Welles. 1941. "Citizen Kane", il cittadino Kane nel suo castello, capolinea del suo personale Viale del Tramonto. Su "Quarto potere" sono stati realizzati articoli, libri, documentari, di tutto e di più. Sul 'Rofum, adesso, solo umili impressioni personali su questo mostro sacro della Settima.
Per coloro i quali amano le classifiche, questa pellicola è attestata al primo posto da svariate fonti. E cos'è che rende questo film unico?
Ho aspettato molto (troppo?) per scrivere di questa pellicola. E, come Macallan, forse non era ancora tempo per assaporare una tale espressione dell'arte cinematografica. Ma se, ai miei occhi di bambino, non si è dipanata tutta la grandezza toccata sullo schermo, ciò nonostante la percezione di un'enorme conoscenza dello strumento filmico, da parte del giovane regista del Wisconsin, m'è giunta chiara.
Ogni fotogramma è lo strumento musicale perfetto per quella nota in quel momento. Come in una sinfonia, ogni nota sta bene per sé ma, soprattutto, per le altre, le prossime e le successive. Inizia il film e il pubblico è ammonito a "No trespassing" il recinto dell'uomo nel castello. Con le continue ed eleganti dissolvenze, s'intuiscono solitudine, avidità, odio, durezza, ma anche gusto per il il potere, il bello, il prezioso, l'esotico. L'ingresso mozzafiato ne "El Rancho" di Susan Alexander, tramite tecnica formidabile quanto funzionale, scova uno dei rari punti di contatto con l'oscura e glaciale esistenza del potente uomo. Funzionale allo spettacolo e, quindi, al pubblico, il quale non percepisce il mezzo (se non come un soffio) ma ne gode il risultato.
Guardando "Citizen Kane" si ha la sensazione di essere di fronte ad un'opera complessa e solida; penso alle grandi opere achitettoniche: tante parti unite con cura, con tecnica nuova sorprendente, pronte per durare per sempre.
Adunata generale di tutti gli stratagemmi tecnici (dissolvenze, piani sequenze ambiziosi quanto disinvolti, luci ed ombre espressioniste) scenografia perfetta, piani sovrapposti con naturalezza impressionante, tutto allestito a meraviglia in quest'opera tristemente attuale; ma, se non impara il popolo, non imparano nemmeno i re, sempre dimentichi, obliati da un falsa soddisfazione, della valle di lacrime su cui s'affaccia il palazzo reale in provincia di Potere (qui sulla frazione di "Comunicazione", mentre Norma Desmond su quella di "Showbiz"); le loro ricchezze diverranno metropoli di vecchi ammennicoli, catasti di ricordi sbiaditi
Primo film del regista, allora 25enne, pare un'opera rivoluzionaria realizzata a più mani da registi ottuagenari, alla fine di un'ipotetica (...) parabola cinematografica, piuttosto che all'inizio.
Non è da antologia. E' un'antologia.
(depa)

3 commenti:

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  2. Eccallà...sono peggio della mosca Tzè Tzè...Non me ne voglia Depa per questo piccolo commento, ma mi sento in dovere di scriverlo per rispetto al film d'antologia che mi ha proposto. Peccato che io, piccola spettatrice quale sono, non sia riuscita a carpire la magnificenza dell'opera. Forse perchè non tengo in considerazione l'anno di produzione, l'esordio e l'età del regista, ma mi aspettavo qualcosa in più. Niente da dire sulla regia, anche se quell'inizio da film horror anni 30 un po' mi ha turbata. Un po’ debole forse il messaggio finale...Tanta maestosità eretta, a tutto tondo, fine a ricrearsi un mondo privato nel quale isolarsi, dove in cielo manca solo la cupola di vetro per divenire un po' quell' unico mondo in cui si sentiva veramente felice. Ma non c'è castello che possa proteggerlo, basta la vista di un giocattolo innevato per far riaffiorare i ricordi. Ed ecco che quel mondo si sgretola, come una palla di vetro, và in frantumi.

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  3. Vista la recensione, la sala Ninna non ha voluto essere da meno della sala Uander e ueilàà… in saccoccia anche quest’altro “pezzetto” di cinema! :)
    La prima impressione che ho avuto è stata di trovarmi di fronte a qualcosa di nuovo, ovviamente per quella che è la mia conoscenza cinematografica, a livello soprattutto di tecniche di ripresa e quindi immagini, ma non solo: “dissolvenze incrociate” (la neve che scende nella palla di vetro e “nella stanza” è di grande impatto! Come deve…), un dialogo durante il quale la persona che sta parlando viene ripresa di spalle, avvolta in un fascio di luce e fumo che crea un grande gioco “luci e ombre”, l’aver assistito ad un “lungo” cinegiornale praticamente come fossi stato in sala, ecc...
    Il regista si è un po’ preso gioco di me ammaliandomi talmente tanto con meravigliose sequenze di immagini, in alcuni casi anche grazie alle splendide scenografie (vedi riprese nel castello), facendo addirittura passare in secondo piano nel mio cervello l’appassionante e attualissima sceneggiatura che indaga le emozioni e la psicologia di un uomo ricco e fuori dall’ordinario che detiene quello che, nel titolo in italiano, nel 1941 venne definito “Il quarto potere” e che nel mondo contemporaneo definirei “il primo potere”. Ai miei occhi Kane viene smontato e rimontato continuamente dai racconti su di lui delle persone che hanno fatto parte della sua vita e attraverso le emozioni che esprimono mentre parlano di lui, ma il finale è una mazzata bella tosta che sgombera il campo da ogni dubbio. A mio gusto, ideologicamente perfetto.
    E che finale!?!! Qualcosa di spettacolare: come la conclusione di un concerto rock della Madonna che era partito in “do” e, dopo aver trasmesso allo spettatore emozioni a manetta per due ore, accompagnata da un’interminabile rullata del batterista, il resto del gruppo non molla quell’ultima stessa nota facendo salire l’ultima botta d’adrenalina, fino all’esplosione finale che segna il “The end”.

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