E Griffith creò la Settima...

Sabato scorso (sempre parte di quel week end che ho definito "potente"), nella sala genovese di Santa Brigida, è stato proiettato un film storico. Film che ha permesso di entrare nella nostra iniziativa ad un padre di quest'arte che amiamo così tanto. Dobbiamo molto allo statunitense David Wark Griffith, il quale, secondo un'opinione condivisa, introdusse le moderne regole della narrazione cinematografica. Se un certo Ėjzenštejn constatò che "Griffith è dio padre. Egli ha tutto creato, tutto inventato..." qualcosa sotto ci sarà. Noi ci limitiamo a vedere cosa ci fosse davanti, partendo da "La nascita di una nazione", sorta di kolossal storico (sulla scia degli italiani che raggiunsero la fama) risalente al 1915.
Griffith vide già il passaggio dai cortometraggi (allora il formato standard) alle pellicole di durata maggiore (i suddetti film storici italiani per es.), ma ebbe ruolo determinante nel consolidare la nuova struttura narrativa, sancendo definitivamente la transizione tra quelli che lo studioso Burch, nel 2001, definì MRP e MRI (Modo di Rappresentazione, rispettivamente, Primitivo e Istituzionale), cioè di quello che, terra-terra, può essere considerato il passaggio da statico a dinamico, o da discreto a continuo (è più complesso ma qui non). Facendosi le ossa su circa 450 corti in 5 anni, coi quali codificò grammatica e lessico del linguaggio cinematografico, poté inoltre sperimentare nuove tecniche e relative semantiche (montaggio alternato, salvataggio all'ultimo minuto e altro). A valle di ciò, fu anche un altro il suo ruolo importante, quello di dare alla Settima un'investitura di arte alta, con somma funzione moralizzatrice (lo so che vi piace il cinema che spacca tutto, ma quel tutto qualcuno deve pur averlo tirato su).
Da quest'ultimo punto di vista, "La nascita di una nazione" rappresenta un'opera controversa (sulla quale è possibile reperire materiale per ore ed ore di piacevole approfondimento). Vi basti sapere che parte da opere, a quanto pare, modeste, superficiali e (quindi) razziste, narranti della Guerra di Secessione Americana. I tumulti conseguenti alle prime proiezioni furono grossi, le piazze ribollirono di scontri a sfondo razziale, e Griffith, sinceramente sorpreso o no delle reazioni (fervente protestante: "Libertà di opinione!") poté però constatare che qualcosa aveva ottenuto, un'opera "piena", che coinvolgesse lo spettatore, sinanco a farlo imbufalire (a ragione). E se fosse che Griffith s'interessasse più alla sua passione, piuttosto che alle cause che portarono gli statunitensi a scannarsi o il Ku Klux Klan a fare azioni indicibili vestiti da dementi? Al giorno d'oggi, forse, non perdoneremmo, in ogni caso, una simile ingenuità. Ma, a noi cinefili, tocca spostare lo sguardo sull'altro lato di quel grandioso evento...
Fu un vero e proprio manifesto. Sin dalle prime inquadrature, in "The birth of a nation", si possono ritrovare stupende sequenze di vita familiare, moderne, in quanto assimilabili facilmente dai nostri occhi abituati a ben altro (il gattino bianco, la figura femminile dietro la tenda, le movenze scherzose dei ragazzi, un cinema che si sofferma sul gesto futile, come il salto sulla sedia). Pare che tutto, davvero, fosse già lì, 100 anni fa. Poi comincia la storia, la tragedia. Si comincia con scherzosi buffetti tra parenti e finirà in strage. Ma ci si arriva tramite primi piani su fiocchi di cotone (quando mi chiederanno qual è il cotone migliore, saprò cosa rispondere: "Quello di Griffith!"), dissolvenze in entrata, in uscita, filtri colorati (senz'abuso)...il pubblico d'allora dovette ben concentrarsi per estrapolare un messaggio da quanto scorreva sullo schermo, senza perdersi in tanto splendore, inquadrature fisse (c'è solo una carrellata all'indietro, sul "Piccolo Colonnello" Cameron, spero di non essermela sognata) rese danzanti da un montaggio così rapido che quasi non te ne accorgi (anche 2-3'' per inquadratura), compensate dall'enorme quantità di figure e dalla rapidità dei loro movimenti. I fazzoletti bianchi in alto emozionano senza data di scadenza. Panoramiche su campi da battaglia avvolti dai fumi della polvere da sparo, scoppi che illuminano i due fronti.
Non manca una componente ironica ("fedeli alla promessa, i due parenti si rincontrarono", la scena della "brutta sorpresa" per il Cameron ricoverato). Alcune scene diverranno tòpoi cinematografici, ripetuti sino ai giorni d'oggi (la donna sola che si ritrova osservata dalla sentinella).
Un Lincoln piuttosto tramortito e abulico raffredda gli animi destinati ad esplodere ("Li tratteremo come se non fosse successo nulla") ed il film diventa uno stupendo e drammatico quadro sulla confusione che regnava nelle teste di milioni di americani (oltre che nella mia), sprofondate in una nebbia d'odio; tutti contro tutti, neri nord sud bianchi: tutti e 4 gli elementi aizzati contro se stessi (i rossi già sterminati). Incrocio di morte (un po' come i "Five Points" di Scorsese) da cui nacque la più grande "democrature" (Alpha Blondie) del mondo.
Dall'esposizione di questa spirale d'odio, qualche frase reazionaria emerge, certamente (i neri coi piedi sui tavoli; mi ricorda la rappresentazione degli odierni "grillini"...), per nulla edulcorata da affascinanti sovrapposizioni (la camera dei rappresentanti che si anima). Il mix tra documento storico e intrattenimento è ambizioso. Ma, come scritto sopra, non si può certo escludere che D.W.G. si occupasse più di cinema che di storia ("A seminar zizzania la deportazione degli schiavi dall'Africa", la dice lunga sulla profondità delle sue analisi).
Quanto fossero consapevoli e radicate, nell'autore, le balorde linee ideologiche emerse da quest'opera, ve lo dirò dopo aver visto (questa sera), "Intolerance", la celebre "sorella minore" del regista, di un anno più giovane, ufficiosamente una sorta di scuse". Sin da ora, invece, posso ordinarvi di vedere questa pellicola, senza la quale, il bagaglio di un cinefilo è...senza maniglia.
(depa)

2 commenti:

  1. Certo, se nel finale gli "eroi" col cappuccio non fossero riusciti ad arrivare in tempo (con conseguente strage dei soldati asserragliati nella casetta), la pellicola avrebbe guadagnato ulteriormente in profondità.
    Tra l'altro sarebbero stati salvati milioni di futuri pellirossa di celluloide. D'altra parte, però, i pargoli del XX° secolo non avrebbero mai gridato "Arrivano i nostri" e si sarebbero dati tutti all'eroina. O no?

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  2. “La nascita di una nazione” fu un film di portata storica, che gettò le basi della tecnica cinematografica e dimostrò quanto lo spettatore potesse essere calamitato nella storia: viene infatti considerato la prima opera inequivocabile del “cinema narrativo” a fronte del precedente periodo del “cinema delle attrazioni”.
    Rimarcato questo concetto già approfondito alla grande da Depa e non avendo altro da aggiungere all’esauriente recensione, ci tengo solo ad esprimere il mio pensiero secondo il quale il regista aveva ben presente le idee che stava mettendo su pellicola: in questo film (nella seconda parte), infatti, ci sono chiaramente dei “buoni” e dei “cattivi” e il risultato è un messaggio fortemente razzista. Il fatto che non avesse idea del clamore che avrebbe potuto suscitare un “semplice film”, visto che fu il primo di “un certo tipo”, è un altro paio di maniche…
    Poi pace e amen. Concordo che il cinefilo debba guardare in un’altra direzione e sono contento di aver “montato questa maniglia”, un po’“pesante” a dire il vero, ma affascinante, sapendo il passaggio fondamentale che è stato per la nascita della Settima arte (ottima “parafrasi” del titolo, direi).

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