I “freakettoni” degli anni ‘30

Ieri sera ennesimo esordio in sala Ninna (ormai non si contano più): Frank Capra fa la sua prima comparsa con “L’eterna illusione” (“You can't take it with you”), commedia del 1938.
Una pellicola nella quale l’amore batte il potere, la solidarietà batte la carità e la semplicità la borghesia.

Correva l’anno 1938, Hitler aveva appena invaso l’Austria e la seconda guerra mondiale era alle porte. Gli Stati Uniti di Roosevelt si erigevano come paladini della democrazia (quando questa era ancora sinonimo di “libertà”), ma anche del (anarco) capitalismo. Il tempo dei freakettoni e di una libertà non finalizzata al “Dio denaro”, ma ad una vita più semplice, istintiva e umana, messa al primo posto come idea da seguire per ottenere la felicità, erano lontani trent’anni tondi, ma evidentemente già ben presenti nell’animo e nella mente di Frank Capra.
Il regista indaga questo tema attraverso le vicende della famiglia Kirby, ricchissimi alto-borghesi con a capo il cinico banchiere Anthony P. Kirby (un “teatrale” Edward Arnold), e dei Sycamore, di condizioni ben più modeste (per scelta!), capeggiati dal vitale nonno Martin (Lionel Barrymore) e contraddistinti da uno spirito anticonformista, e dal loro incontrarsi (e scontrarsi) per l’amore che nasce tra la nipote di Martin, Alice (Jean Arthur) e il figlio di Anthony, Tony (il trentenne James Stewart, alla consacrazione come star hollywoodiana).
La commedia ha un buon ritmo, gli interpreti sono di prim’ordine e molti personaggi sono decisamente spassosi (da segnalare “il giudice” e Donald “Poppins” Meek trai secondari). Ma la vera magia di questa pellicola sta nella potenza delle scene dettata da un grande numero di personaggi presenti che danno un’idea di caos libero e felice nella scena nella quale i Kirby entrano in casa dei Sycamone, quando quest’ultimi non li aspettano, e si trovano di fronte lo spettacolo di un uomo che suona lo xilofono, un vecchio con le stampelle che gioca a freccette, un russo che impartisce lezioni di ballo alla sua allieva in tutù, una pittrice che sta ritraendo il suo attempato modello in posa da discobolo sopra una cassa di esplosivo, un cameriere di colore che apparecchia la tavola e un corvo che lo osserva (tutti in una stanza e in un’inquadratura! meravigliosa!), oppure di una caos composto e costipato nelle scene ambientate nella banca con Anthony Kirby e i suoi tanti soci d’affari.
Il finale non è eccessivamente tirato per le lunghe ed è un giusto punto esclamativo alla morale della storia, secondo la quale il denaro è solo “L’eterna illusione” perché tanto “Non potete portarlo con voi”  (titolo originale del film) dopo la morte.
Insomma, “il denaro non fa la felicità”: morale leggera, ma pensando all’epoca in cui uscì questo film e a come viene indagata e sviscerata, secondo me, è in realtà di una potenza più che degna.
(Ste Bubu)

1 commento:

  1. Sono d'accordo con la tua chiusura. Film molto leggero, al limite del "filmetto"; ma, forse, questa pazza famiglia che se ne frega dei guadagni in nome di una vita (quell'unica, non dimentichiamolo mai) vissuta e agguantata, inquadrata in quegli anni e in ciò che sino a quegli anni il cinema raccontò, assume un fascino che oggi deve essere ricostruito nelle menti degli spettatori di allora.
    Negli anni di Occupy Wall Street, la famiglia Sycamore è portavoce ideale. Da una parte un uomo che maneggia alla perfezione milioni di dollari, attorniato da cravatte ammaestrate (già morte ancora prima di essere cresciute), incapace, però, di gestire una sedia a dondolo. Dall'altra una triste e affamata società che non permette di ballare in strada.
    I dialoghi del film conducono per mano il pubblico lungo questo magico percorso di riconquista.
    Parliamoci chiaro, il maestro russo è davvero un deficiente (dai, ha quasi ammazzato il povero, sì povero!, con una schienata degna dell'Ultimate Warrior più inbufalito); i due nonnetti rimasti fanciulli e il loro deposito di fuochi d'artificio, per di più, hanno quasi fatto saltare per aria un quartiere (pronto per essere ricostruito, complimenti!), altro che una notte in gattabuia....
    Punta in alto Capra con la sua idea di mondo altro, film col botto, dai risvolti affascinanti quanto ingenui (il titolo italiano, in tal senso, ci tiene un po' fastidiosamente ben saldi a terra).
    Comunque si sorride, si immagina e, appunto, ci si illude un po', dolcemente.
    Ma la strada è quella, non molliamo.

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