Il primo Mendes è all'acqua di rose

Sabato scorso, in sala Vecchia, abbiamo invitato il regista britannico Sam Mendes, il quale, nel 1999, esordì con una pellicola roboante, dal fascino immediato, puntando sull'effetto imbarazzante di alcuni passi della sceneggiatura e su quello inebriante della fotografia "pop": "American beauty" è un accattivante, acuto quanto "politicamente scorretto", attacco alla società contemporanea, eternamente distratta da vuoti valori, al punto da non vedere la rosa nel proprio giardino.
"Americn beauty" mi piacque quando uscì e mi è piaciuto dopo 14 anni. Non male come risultato. Ma, c'è un ma. Come ho gridato a Bubu, mentre tornavamo in papero a casa, "C'è qualcosa che non va", "Gioca facile". Cosa intendo? Che, secondo me, il film è uno stupendo quadro pop, un po' come un petalo rosso appoggiato su una superfice lucida, verniciata di bianco (o una macchia di sangue su mattoni bianchi), fotografia geometrica e scenografia ammaliante. Belle presenze e bei visi che si gridano frasi irripetibili tra viali alberati e giardini agghindati. Si scherza, si ride si mostra qualcosina, ma non si rischia più di tanto; il coefficiente di difficoltà è oggettivamente basso.
Ciò non toglie che il "tuffo" è stato realizzato senza pecche. Gran parte del merito va alla sceneggiatura (Alan Ball, classe '57, di Atlanta, omosessuale dichiarato, particolare affascinante al valle della visione della pellicola), capace di coniugare intreccio da commedia classica con un stridio di fondo che non molla l'atmosfera generale (sintetizzato nella scena dell'urlo della moglie frustrata di fronte all'ennesimo fallimento professionale). Gli attacchi partono a raggiera, direzione e intensità a piacere. Tono diverso rispetto a "Happiness", ma stesso intento. Anche Mendes chiama a supporto la musica, pulsare ritmico sintetico che tiene sull'attenti, volenti o no. In questo caso gli interpreti sono più magnetici (molto bravi, non fraintendetemi), Kevin Specey per il pubblico femminile, la giovane "lolitina" statunitense Mena Suvari per i maschiettini (20 anni allora). Piacere sessuale battuto sul tamburo con sapienza, le celebre sequenze digitali dei petali di rosa sono di grande effetto.
Film che porta una leggera rottura in tutti i salottini ricamati, incrina lo swarovski posato su vassoio d'argento di ogni famiglia borghese, sorrisino da una parte e liquorino dall'altra, katarsi per il XXI secolo, quindi all'acqua di rose.
(depa)

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