Prego si accomodi, herr Ophüls

Questa sera, al circolino sulla Martesana di cui vi ho già scritto, io ed Elena abbiamo avuto la possibilità di fare la conoscenza di un celebre regista del passato; il viennese Max Ophüls (1902, 1957) c'ha porto la mano che stringeva una "Lettera da una sconosciuta" (1948), dramma rosa sull'amore univoco, non corrisposto; quando, insomma, il 100% e più, viene tutto da un lato solo. Produzione hollywoodiana, tormento europeo.
Il regista che venne dal teatro e, in particolare, da un certo Max Reinhardt, porta sullo schermo tutto il suo bagaglio. Salta all'occhio la sapienza nell'utilizzo di più piani, la cui funzione in teatro è svolta dalle quinte, come mi fa osservare Elena (ingresso di Lisa nel suo palazzo scombussolato dall'arrivo del nuovo inquilino; la scena dell'altalena in cortile) e la delicatezza delle sue ellissi, la forza delle sue sintesi (il chiarimento tra il colonnello e il figlio spasimante; la scena del corso di danza, con quei pochi passi imparati e l'ingresso nel "mondo dei navigati"...). Il proscenio è saturo di oggetti, disposti con eleganza a ricreare quadri carichi di emotività, ciò nonostante la m.d.p. si sposta, vera e propria ballerina, danzante tra i vetri ornati da disegni floreali. Il regista non perde alcuna delle eleganti curve tracciate dagli attori, diventando vera e propria terza presenza, al fianco dei due. Esperto dello strumento cinematografico, Ophüls può far danzare le sbarre di una cancellata su di un binario ferroviario, sulle note della speranza, al ritmo della passione, così come può mostrarci le stesse per quello che sono, acciaio morto, ferro senz'anima. La scena dell'incontro fortuito (all'uscita del teatro), ricostruisce alla perfezione lo sconquasso emotivo della protagonista, lo shock dovuto al vuoto negli occhi, al nulla nell'anima, mostrato dall'unico amore riapparso ma già morto; Luisa non scappa in carrozza, pare svenirci letteralmente dentro. Quasi cede anche lo spettatore.
Il pugno, sferrato forte, giunge al pensiero di tutte le donne che, quando viene loro chiesto se sono felici, si ritrovano a mentire.
Storia semplicemente drammatica di passione, d'illusione e, infine, disperazione (seppur caparbia, e finita in tragedia per puro caso, a ben vedere), che serve a far risaltare la maestrìa della regìa, la qualità dell'interpretazione femminile (Joan Fontaine).
Sottotitolo: espiazione.
(depa)

1 commento:

  1. “Lettera da una sconosciuta” mi ha mostrato quanto sia fondamentale un finale “ad effetto” in una pellicola romantica. Nulla da invidiare ai più popolari “Francamente me ne infischio!” (“Via col vento”) e “Buona fortuna, bambina” (“Casablanca”), nemmeno la parola perché quel biglietto è un colpo di genio e il seguente sguardo di Stefan, nel momento in cui si rende conto… e palesa il suo cedimento, è una mazzata nel cuore anche dello spettatore più insensibile alle storie d’amore (presente!) che non può più restare impassibile.
    Il resto del film è un racconto ad altissimo tasso di romanticismo e di classe del regista che mi ha regalato altri esempi di magistrali dissolvenze (mi sento come un bambino a cui hanno regalato un gioco nuovo) e di tutto quello che ha già raccontato Depa nella recensione.
    Domanda: ma perché i film romantici più celebri e/o ben riusciti (che ho visto) finiscono tutti con una separazione? L’amore corrisposto e che regala felicità è così poco romantico e/o commovente? Boh.. Evidentemente...

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