Tanto va la gatta...di Ophüls

Ieri sera, ancora nel freddo milanese che mi sta iniziando seriamente a rompere le palle, al Circolo Familiare di Unità Proletaria, è stato proiettato il penultimo film di Max Ophüls (e della rassegna a lui dedicata). "Madame de..." (in italiano "I gioielli di Madame de...") è stato girato nel 1953 e, per quanto sia permeato della ben nota eleganza stilistica del regista tedesco, lascia qualche dubbio sul ritmo della sceneggiatura, riuscendo in ogni caso a ribadire uno dei concetti cari all'autore: l'amore gioco pericoloso, prima affrontato con leggerezza, poi subìto con afflizione.
Questo film, come il successivo ultimo "Lola Montes", è stato tratto da un leggero e intrigante romanzo francese (una sorta di Harmony dell'autrice Louise de Vilmorin, a quanto pare, donna aperta ad ogni esperienza, fu anche alla sceneggiatura de "Gli amanti" di Malle) e forse qualcosa ha pagato. Come ho scritto sopra, la regìa è la solita danza inebriante, con la m.d.p. che segue i passi dei protagonisti senza inciampare nella scenografia affollata e sui gradini di scale che salgono al piano superiore di eleganti palazzi parigini. Il film scorre ironico e leggero, ma nella parte centrale, proprio quando prende vita il triangolo amoroso, nodo centrale della pellicola (terza corda il cicalone, un po' sacrificato, Vittorio De Sica), s'affloscia e restituisce la strana sensazione che anche il regista si stesse annoiando di fronte alla piattezza della trama e dei sentimenti narrati, nonché a qualche forzatura (che avesse dei timori sulla riuscita di questa trasposizione letteraria, lo si intuisce dalle sue raccomandazioni alla protagonista). L'autore, il suo l'ha fatto, come sempre in maniera notevole, ma con uno sbadiglio trattenuto. Perché, diciamoci la verità, va bene la leggerezza che 90 su 100 si accompagna al sentimento amoroso, va bene i sagaci botta e risposta salottieri, ma qui l'esplosione della passione rimane un qualcosa di appicciato agli occhi della affascinante protagonista, ipnotici ma senza coinvolgimento emotivo, complice un De Sica un po' affettato nelle vesti di barone (lo erano tutti gli italiani dell'epoca e del ceto?), probabilmente vittima di un accordo della coproduzione italo-francese.
Qualche passaggio in cui è piacevole soffermarsi c'è ("Non mi piace molto l'immagine che avete dipinto di me" confessa Charles Boyer "de...", il vero gioiello del film), ma durante la maggior parte del secondo tempo si aspetterà soltanto la fine (debole tentativo il duello finale).
Una cosa è certa: che Napoleone si sbagliò solo a Waterloo...
(depa)

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