Vatti a fidare degli angeli biondi

Il quarto film di Orson Welles è una caotica danza sui flutti dei mari tropicali; lo spettatore travolto dalla passione e dal delitto, intrecciati in maniera complicata, gioco di specchi in cui è facile smarrirsi. "La signora di Shanghai", del 1947, ha come interpreti principali lo stesso Orson Welles e la bellissima Rita Hayworth, incorniciata più che mai dalla maestria del regista.
Il film inizia, al solito, con una stupenda sequenza in cui le pedine sullo schermo percorrono traiettorie eleganti, sebbene con naturalezza; la faccia da schiaffi del marinaio irlandese Orson "O'Hara" fa coppia perfetta con la conturbante bellezza della principessa nella carrozza. "Elsa" Hayworth è una bomba (che esploderà) e la m.d.p. lo ribadisce spesso nel prosieguo della pellicola. Per capire quanto Orson Welles fosse cotto di Rita Hayworth basta guardare come la telecamera indugia su volto e corpo della star hollywoodiana. Le dediche si susseguono e, forse, la pellicola qualcosa ha pagato, una distrazione c'è stata. Sicuramente c'è stata da parte mia che, lo ammetto, mi sono ritrovato più volte, carta e penna alla mano (al buio della sala Alda Merini...), a cercare di far tornare i conti. Il finale è un sistemino a tre variabili che ho deciso, un po' frustrato, di risolvere alla bell'e meglio.
Oltre alla celebre sequenza degli specchi (che merita tutta la fama e il suo posto nelle antologie, tecnica e fantasia a ricreare un'opera a sé stante), ci tengo a sottolineare la prova dei due co-protagonisti statunitensi: lo "zoppo" Everett Sloane e, soprattutto, l'allucinato Glenn Anders, disinvolti e, per quanto sopra le righe (chi non lo è?), accattivanti. Anche più credibili della mitica e patinatissima Hayworth; artificiosa come questo racconto ambientato nelle splendide inquadrature del regista.
(depa)

1 commento:

  1. Una pellicola molto emozionante, nella quale spicca la bellezza micidiale e la bravura di Rita Hayworth che nei tanti splendidi primi piani che il maestro Orson Welles le offre da il meglio di se, emozionando lo spettatore con uno sguardo ed un’espressività del viso fuori dal comune.
    Ciò nonostante, forse “Michael” Welles fa male a fidarsi di una “bella bionda”, ma di certo il regista Orson Welles non lo fa ed intorno a questa grande artista della recitazione gira un film “da dieci”, un po’ romantico/psicologico, un po’ giallo/thriller, un po’ drammatico e con una spruzzata imprevedibile di “commedia” durante il processo che, ancora una volta per un film di Welles, mi suggerisce un paragone musicale: è come la penultima strofa di una splendida canzone composta su scala minore, fatta con un giro d’accordi maggiore che regala un momento di stacco d’”allegria” che altro non fa che dare più forza alla drammaticità/tensione dell’ultima strofa/sequenza.
    Ultima sequenza che regala agli occhi il maggior momento di piacere con la “celebre sequenza degli specchi” citata da Depa che è veramente un mix geniale di tecnica e fantasia, creatività.
    In più ci tengo anch’io a sottolineare la prova di Everett Sloane e, soprattutto, di Glenn Anders.
    “La signora di Shangai” mi ha rapito dal primo all’ultimo secondo ed è alla fine della visione di opere come questa che mi sento sempre più innamorato della settima arte e grato a chi mi sta indirizzando e aiutando in questo percorso di conoscenza e approfondimento! ;)

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