Botta d'adrenalina nel cuore del cinema

Domenica sera, sala Uander "Pulp, molto pulp". Nel 1994, Quentin Tarantino, due anni dopo il sorprendente "Le iene", consacrò se stesso tra le grandi firme del cinema. "Pulp fiction" è una spolverata anni '90 sui generi thriller e gangster, rendendoli, appunto, pulp. Questo manifesto per un cinema che, in pratica, rimarrà esclusivo appannaggio dell'autore, è intrattenimento puro: suspense, ironia e sangue, mescolati sapientemente con pezzetti di cervello. La splendida selezione musicale e la sensibilità del regista nel creare situazioni (e riprenderle sontuosamente) completano quest'accattivante quadro.
Eccolo qui il cinema di Tarantino. Cinema di chi, ogni tanto, in bagno deve pur andarci. Cinema che, dopo un investimento ed un incidente, la situazione non è ancora risolta, i protagonisti, malconci e zoppicanti, si trascineranno in un'altra sequenza ad alta tensione. Cinema a tempo di twist e musiche del passato che non dovrebbero mai essere dimenticate. Cinema della valigia di cui non si conosce il contenuto e, in fondo in fondo, "chi se ne fotte sporco muso bianco?!". Tributo elegante a tutte le dinamo cinematografiche, a tutti i malloppi con cui fuggire, a tutti i pretesti. Espedienti narrativi non solo. Il colpo parte inaspettato e chissà "che cazzo può capitare, amico!".
Sceneggiature che consumano metri di celluloide ma non l'attenzione dello spettatore, che trascorrerebbe altre tre ore in mezzo a quei dialoghi, surreali o troppo reali. Cast azzeccato con attori che stimolano l'immaginario con le interpretazioni carismatiche del passato o con i tratti fisionomici ben definiti.
Il mito John Travolta, naufragato nei "Senti chi parla", chiama sul palco il volto particolare e il corpo filiforme di Uma Thurman (fresca di quell'orribile "Cow Girl") e, sulle note di un Chuck Berry indimenticabile, confeziona una scena tra le più celebri di sempre. E in effetti, la sequenza è potente. I corpi sono un tutt'uno con la musica e coi caratteri che contengono. E le droghe che contengono. Mia è istericamente scatenata, ambisce al trofeo; Vincent, più molleggiato, si gode il momento...ognuno si prende il suo tempo. Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso. Un ballo sballo travolgente. La pellicola cinematografica ritorna sui corpi in movimento. La figura umana si riappropria, in due minuti, di tutto il palco. Effetto, più che invidiabile, della mano del regista semi-esordiente.
La scena nel fastfood ricorda quella "gemella", girata da Oliver Stone, ma scritta da Tarantino, in "Natural Born Killer". La differenza, però, è netta: immagini più nitide, meno oniriche, la violenza non è folle processo degenerativo, irreale, allucinante appiglio, bensì una lucida operazione, la fotografia ribadisce che tutto è pronto. La scintilla non è inattesa, ma programmata minuziosamente. L'ironia del caso, inoltre, condirà il piano con scorzette di paradosso scottate alla Bukowski (terminato, assieme al suo ultimo romanzo, proprio nel '94, testimone passato just-in-time).
Ogni stile è disossato, ogni tecnica spinta oltre, con coraggio e coscienza dei propri maestri. Quindi, Mia potrà punteggiare un quadrato in aria, suggerendo di lasciarsi andare, di non prendersi troppo sul serio, mentre "Butch" Willis, sul retro di un taxi guidato da una calda Esmeralda, farà correre la mente ad un cinema ormai messo da parte, fatto di luci e momenti, chiacchiere & blood.
"Film rosso" fu l'ultima stupenda pellicola di Kieślowski, però è comprensibile che la giuria di Cannes 1994 (Eastwood presidente) fosse rimasta folgorata da questa pellicola che risvegliò un cinema d'azione caduto in letargo.
Direi imperdibile.
(depa)

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