Il cinema nevrotico di P.T. Anderson

Ciao a tutti, 'Rofumiani. Giovedì scorso, ho avuto l'occasione di vedere un'altra opera del regista statunitense Paul Thomas Anderson, la quarta: "Ubriaco d'amore" è una commedia girata nel 2002, col ritmo della nevrosi del protagonista, sostenuto dalla musica incalzante e dalla fotografia opprimente, poiché minimale o sovraffollata pop.
Chiariamo, la pellicola non è nulla di imperdibile, ma qualcosa d'interessante, magari non del tutto sviluppato, può esservi scovato. Non certo i fragorosi boati che dovrebbero scuotere gli spettatori e rappresentare le continue rotture, i crescenti elementi di disturbo che circondano tutte le esistenze, bensì il tremito che percorre il protagonista, interpretato da Adam Sandler in maniera personale, non banale. Osservare Barry, braccia ciondoloni, mentre inquieto attende la prossima mossa di qualcuno, è l'esercizio più coinvolgente. Del resto, la storia non è poi così stravagante e, nei brevi momenti in cui lo è, mostra le cuciture, apparendo troppo artificiosa, ambiziosa e affrettata (pezzi persi e finale prevedibile).
Emily Watson, che esordì 6 anni prima con l'eccezionale "Breaking the waves" di Lars Von Trier, fa il suo, ma non potrebbe di più. Philip Seymour Hoffman è, assieme al protagonista, il personaggio più interessante, animale sociale moderno, ricoperto d'impalcature che ne aumentino il volume e, quindi, l'efficienza nella caccia al mammifero più piccolo.
Il cinema di Anderson (P.T.) vuole dipingere quadri stravaganti di persone equivalenti. A tratti ci riesce, aiutandosi con un utilizzo assillante della componente musicale, in altri pare di osservare "Willy Il Coyote" che non riesce a fermarsi e continua a camminare sopra il burrone. Non si urla al miracolo, ma non si sbadiglia. Qualcuno mi faccia sapere che ne pensa.
(depa)

2 commenti:

  1. Io ho trovato il personaggio di Barry decisamente inquietante, ma non di per se, bensì pensando a quale sia stato il motivo che ha dato origine alle sue psicosi (più che nevrosi): un gruppo di donne (in questo caso, sorelle) che si mettono assieme “contro” un uomo può diventare una cazzo di “associazione a delinquere”! Il risultato è il personaggio Barry: psicotico, maniacale, ossessivo e “sclerato”. Meno male che esistono anche le donne con l’istinto da "crocerossina” e così Lena ripara al danno con il suo strano amore per lui (d’altronde è un po’ strana anche lei) e riscatta agli occhi dello spettatore l’universo femminile.
    Barry è fondamentalmente un uomo psicopatico, ma molto (troppo?) buono e questo “lo fotte”, prima con le sorelle e poi con il “materassaio” Hoffman, che gestisce, in realtà, una vera associazione a delinquere.
    Prima dell’amore, l’unica valvola di sfogo per l’allora ingabbiato e paralizzato dalla situazione Barry per non impazzire totalmente, per non lasciarsi andare ad istinti suicidi e/o omicidi, è “sbroccare” e “spaccare tutto” (ci sta).
    Questi i contenuti, secondo me, molto interessanti e ben analizzati. Contenuti prettamente psicologici e psichiatrici che si intrecciano solo vagamente con quelli sociali e solo per mostrare e analizzare più a fondo la follia del protagonista (mi è piaciuta l’interpretazione di Adam Sandler) ed un finale scontato, è vero, ma che è un giusto e sacrosanto, per quello che è il mio pensiero sull’argomento, inno a favore dell’Antipsichiatria.
    La colonna sonora da forza ai momenti di tensione che altrimenti rimarrebbero troppo blandi (non male anche la scena di Berry che scappa, sia per le riprese che per l’interpretazione dell’attore), e quei strani colori che compaiono ogni tanto tra una scena e l’altra rendono il film ancora più “psicotico”.
    Insomma, a me è piaciuto e, come avrai capito, personalmente non sono d’accordo su certi passaggi della tua recensione che ritengo comunque molto “equilibrata”, infatti credo anche che sia un’opera con dei contenuti fondamentali che se non affascinano più di tanto lo spettatore, sia effettivamente destinata ad essere percepita come “nulla di che”.
    Insomma, un bel film da proporre al nostro amico laureato in psicologia con il quale potremmo discutere per ore sulle origini, le conseguenze immediate e le probabili evoluzioni delle psicosi del protagonista e non solo sue.
    Questo è quello che penso ;)

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  2. Ripensando al personaggio e al film, mi correggo: giusto definire i suoi problemi "nevrosi", ma molto forti e quindi al limite (a rischio) delle psicosi.

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