Teatro, vita...Woody.

Noi del Cinerofum, in linea di massima, siamo atei. Però, se proprio dovessimo mettere una X, ne metteremmo più di una. Siamo politeisti, tanti dèi quante le colonne portanti del nostro Partenone cinematografico. Tra i vari, non possiamo che adorare Woody Allen. "Pallottole su Broadway" fu il segnale, l'ennesimo, che il regista newyorkese ci inviò nel 1994.
Dopo aver tergiversato nella scelta del film, la sala Uander aguzza le orecchie in direzione della sentenza di Elena, "Dai basta, guardiamoci un Woody". Ottimo. Vada per "Bullets over Broadway".
La solidità delle commedie di Allen è avvertibile sin dalle prime inquadrature e battute. In questo caso, inoltre, la sceneggiatura minaccia risate già nei primissimi minuti. L'intreccio s'annuncia scoppiettante appena s'intuisce quale folle situazione si stia realizzando. Una perfetta stupida chiamata a recitare in un'opera teatrale, piccolo grande capriccio di un gangster affettuoso. Io ed Elena sorridiamo e ci mettiamo comodi, ben consci di dove possa arrivare il regista, a quale livello di ironia, intelligenza ed eleganza. In questa pellicola, questi tre ingredienti sono messi in dose doppia, venendo a creare un mix esplosivo, per nulla difficile da digerire. Ironia: "Sì, del capodanno cinese..."; intelligenza: passando da "La vita non è perfetta e, per di più, è breve!" alle discussioni sul rapporto tra arte e etica, quando "David" Cusack esplode nella notte, in preda ai rimorsi, è difficile trattenersi dalle risa; eleganza: solite scenografie ricercate nelle quali la m.d.p. scorre sul velluto, al passo di avvogenti musiche anni '20.
L'arte ai tempi della nuova politica è scendere a compromessi, forse lo è sempre stata, ingiustamente. Ogni film di Allen è legato al suo particolare momento artistico e personale. Per tutti i registi, per Allen a doppio filo; perché è un suo desiderio, intavolare un discorso con sé, prim'ancora che col suo pubblico. Quindi il tema di discussione è servito. Qualche compromesso nel passato, qualcun'altro verrà. Ma la mente resta lucida, l'artista non scivola in acque puzzolenti, senza affogarvi.
Commedia dal ritmo serrato, dove anche in gangster riconoscono sconsolati che "non c'è molto tempo", che diventa un viaggio sorprendentemente intenso nei concetti di teatro, letteratura, arte e...vita.
Altro punto di forza di quest'ottimo film sono gli attori. Interpretazioni evidentemente maiuscole, su tutti Chazz Palminteri (la parte del gangster ce l'ha nel sangue, lui newyorkese con nonni siciliani, appena cimentatosi in "Bronx" di De Niro) e Dianne Wiest (il feticcio di Allen, in questo caso, conquistò un Oscar come m.a.n.p.); anche John Cusack recita con gran naturalezza e cognizione dei gesti; pure l'insopportabile ragazza del boss, Jennifer Tilly (una sorta di "mai cresciuta", la bionda vamp di "Bugiardo e Bugiardo", che ora vince a poker in giro per gli U.S.A.) e gli altri membri della compagnia teatrale, sono tutti all'altezza, in grado di disegnare personaggi di cui s'intravede, chi più chi meno, l'enorme e viva complessità.
Il finale è perfetto. La sequenza dell'omicidio in teatro e quell'incantevole, ops, pardon, squisita ("Incantevoli sono i miei occhi") scambio di battute in strada, appongono un ulteriore sigillo di qualità.
(depa)

1 commento:

  1. I personaggi sono uno più curioso, “pieno” e intrigante dell’altro, dal protagonista all’”ultima ruota del carro”, e l’evoluzione della storia non può che essere incredibilmente variegata e inaspettata.
    Si narra semplicemente della storia di una commedia teatrale di Broadway che nasce, cresce, debutta zoppicante, fino a diventare un grandissimo successo, ma il tutto attraverso dinamiche assolutamente impreviste e imprevedibili, mi ripeto, perché i protagonisti della storia sono tutti pazzeschi.
    Una grande prestazione di tutti gli attori e, bisogna dirlo per una volta, visto il film in italiano, da Tonino Accolla in giù, una grande squadra di doppiatori.
    La cinepresa, per la maggior parte del film, è appostata in qualche punto del teatro: davanti e dietro le quinte, trai corridoi, i camerini, ed infine tra il pubblico e dietro il sipario nella penultima scena che si conclude con quel “non parlare David, non parlare” di Cheech che, dati i precedenti, insieme all’”ultimo suggerimento”, fa piegare dal ridere. Anche quella inaspettata.
    Il ritmo, quasi superfluo dirlo, è quasi teatrale e l’ultima scena con la cinepresa che si muove abilmente e rapidamente da una finestra all’altra, passando per la strada in un dialogo “a triangolo”, è una scena proprio da commedia teatrale, ma ripresa chiaramente da un grande artista della Settima, e regala un finale assolutamente perfetto, disinvolto, rapido, ma che in un lampo spazza via ogni possibile situazione irrisolta, tra le mille createsi.
    E che dire delle scene delle prove? Messe in scena magistrali per pienezza d’immagini, sovraffollamento soprattutto di corpi in una stretta immagine a cinepresa fissa che sembra caos, ma in realtà è ordine e armonia.
    E, della serie “the last but not the least”, come già scritto da Depa, Allen mette sul piatto anche una serie di riflessioni sul rapporto tra arte ed etica, il compromesso che spesso l’artista deve raggiungere e poi l’amore e la morale umana che, secondo Woody, ancora una volta deve essere vista come soggettiva, pensiero assolutamente condiviso dal sottoscritto.
    Io, tra l’artista e l’uomo Woody Allen, amo sicuramente l’artista, poi David ed Ellen la pensino un po’ come vogliono…
    Mi sbilancio: ho trovato la mia seconda preferita di Woody, dopo “Ombre e nebbia”... (e ancora ce n'è...)
    Devastante!

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