Altro sacrificio al Dio Denaro

Pomeriggio del 1° Maggio, scopro che all'Oberdan proiettano un film di un regista francese sconosciuto al 'Rofum. Notizie di un tizio di una Casbah, certo, sono già giunte alle nostre orecchie, ma questo "David Golder", del 1930, suona del tutto nuovo; quindi, io ed Elena, ci dirigiamo a fare la conoscenza di Julien Duvivier (1896-1967).
Che il regista di Lilla abbia fatto gavetta nel cinema muto si capisce dal capace utilizzo del bianco e nero, grande importanza alle zone d'ombra, alle fonti di luce. Oltre alle parole, mai sprecate, la musica interverrà poco, soltanto per sottolineare i momenti più drammatici. Ma, per il resto della pellicola, David Golder sarà solo con se stesso, nel suo silenzio, pronto a sibilare quando gli si presenterà il falso si turno. Un altro drogato di soldi e potere, dimentico, come un certo cittadino Kane, in piccolo, che i soldi (quindi gli affetti) e i giorni sfuggono dalle mani di tutti.
Il regista, partendo dal romanzo della scrittrice francese Irène Némirowsky (ebrea di origine russa), realizza un'opera potente, non scorrevole, ma che avanza come un panzer, lento e inesorabile, verso la disfatta dell'arricchito protagonista. Polacco partito con un cent alla "Paperon de' Paperoni", non degnerà di una smorfia gli ex soci falliti lungo il percorso, trovandosi quindi solo, con una figlia cretina e una moglie infame. La prima risulterà particolarmente insopportabile allo spettatore (per molti versi), la seconda anche, ma più credibile. Film incentrato sul volto sofferente di Harry Baur, sulle sue rughe e grinte, sulla sua grande interpretazione.
Credo che l'antisemitismo fosse più negli occhi di chi guardò questo film (il romanzo non l'ho letto). D'altronde l'ebreo Golder è come tanti altri. Se fosse stato ariano che più puro non si può, nessuno lo avrebbe sottolineato. Che l'autrice del romanzo, poi, sia morta ad Auschwitz, è un dettagliuccio irrilevante...(l'uomo è un animale strano, quando non orripilante, chi può escludere un antisemita recluso in un campo di concentramento?). Che il protagonista sia stato arrestato e torturato dalla Gestapo, invece, è questione di Destino. Quello Atroce.
Qui si tratta solo dell'ennesima vittima del Dio Denaro, rappresentata nella conseguente, alienante, desolazione creatasi attorno. Quando non ci sono appigli, si accetta anche il contatto sintetico di una bambola gonfiabile.
Il finale teatrale, sul letto di morte verso la propria terra natìa, non è la cosa migliore (come, invece, l'emozionante rabbioso scontro tra il protagonista e la moglie, collana di perle indimenticabile), ma la pellicola ha nel suo insieme un carattere evidente.
(depa)

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