Ang Lee si gingilla


Questa sera, in sala Uander, seguendo un consiglio di Matte, io ed Elena eravamo sul divano a vedere l'ultimo lavoro del regista taiwanese Ang Lee (classe 1954), tratto dall'omonimo romanzo del 2003 dello scrittore canadese Yann Martel, "Vita di Pi". Giudizio insufficiente.
Il regista è di scuola statunitense e, nel male, questo fatto irrompe sempre più nel suo stile. Credo convenga rifugiarsi nelle sue prime opere per apprezzarne le qualità. In questa sua dodicesima, c'è poco da salvare. La computer grafica non può certo lasciare qualcosa di più profondo che lo stupore delle immagini fantastiche (in questo senso, non posso che sconsigliarne la visione se non in altissima definizione, meglio se al cinema). I titoli di coda mettono tutto sul tavolo, tutto è confezionato alla perfezione, i colori della natura disegnano quadri unici; gli universi vegetale e animale, in tutto il loro incontaminato splendore, ammiccano languidi alla m.d.p.. Quindi basta. Il trand rimarrà piatto. Una bella tempesta, l'oceano che s'illumina di stelle e creature misteriose. La compagnia della tigre si muove realisticamente, le nuove tecnologie al servizio della naturalezza. Ci sono i momenti commoventi, così come struggenti sovrapposizioni...
Ma, vista anche la travagliata storia dietro alla direzione di questa pellicola e, suppongo (lo leggerò!), l'ingenua fiaba alla base del soggetto, il risultato è una vuota sequenza di desktop incapace di penetrare a fondo i miei pensieri. La fantasia in grado di addolcire qualsiasi tragedia, la speranza unica salvezza e tutte le religioni che si vogliono bene. Sì. E poi tutti a nanna presto.
E va già bene che, almeno, Richard Parker non si sia voltata...
Se siete a casa, non avete il massimo livello video e siete carichi, guardate qualsiasi altra cosa.
(depa)

Nessun commento:

Posta un commento