Lo stile del grande Gatsby è finito a...Beyoncè

Ieri sera Cinerofum in trasferta, in anteprima nazionale, addirittura (ueilà!). All'Odeon a vedere l'ultimo "Il grande Gatsby" sfornato or ora sull'ultima croisette di Cannes.
Tutte le armi hollywoodiane in campo: adatte per i party, non per il mitico e sfaccettato protagonista. Tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore statunitense Francis Scott Fitzgerald, datato 1925, l'ultima pellicola dell'australiano Baz Luhrmann...
...riesce, complice il 3D e le scenografie sontuose, a comunicare la sensazione di “fluttuare in una follia chimica” che si poteva respirare in alcuni, ben protetti, ambienti newyorkesi degli anni '20. Ma qualcosa, durante le pirotecniche e ubriacanti feste raccontate al ritmo alternato (dal risultato originale, per quanto di ardua digestione) di R&B e foxtrot, s'è perso per strada. Le immagini paiono doversi accollare tutta la responsabilità di riempire un vuoto emotivo.
Il tenebroso e ambiguo “nuovo arricchito” Jay Gatsby (Leonardo Di Caprio, più che mai a suo agio nel ruolo di affascinante gentleman) fa la sua apparizione, proveniente da un passato cosparso di miseria e ombre, disponendosi su una sponda della baia di Long Island. Non è un caso. Dirimpettaia è l'amore della sua vita (l'angelica londinese Carey Mulligan). Lei lo credette morto al fronte e si sposò con un sangue blu, di poco meno abbiente e sfarzoso del rivale. Tutto ci viene narrato da Nick, vicino di casa di Gatsby (Tobey Maguire dallo sguardo sognante quanto smarrito, adatto al ruolo di ingenuo Cupido).
I confronti con i soggetti letterari, da cui prende forma una pellicola, hanno poco senso. I difetti di questa terza versione de “Il grande Gatsby” emergono indipendentemente. Troppo l'accento sulle panoramiche mozzafiato e sulle scenografie fiabesche, rese possibili dalle nuove tecnologie. I nuovi mezzi possono e devono dare corpo alle storie raccontate, per non incanalarsi in vuote realizzazioni da blockbuster.
Ma se, della complessità della figura del protagonista e della sua personalità (“serie infinita di gesti ben riusciti”), nel film non v'è traccia, va riconosciuto a Luhrmann di aver reso bene l'avidità e l'ebbrezza che permeavano la società statunitense di allora. Una roboante storia d'amore, cupidigia, alcol e morte che, se non coinvolge, intrattiene.
Vabbè...questa è la recensione ufficiale. Nei commenti quella ufficiosa...con i restanti sassolini. Buona notte.
(depa)

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