Il caldo autunno dell’amore

Dopo un po’ che non compare in sala Ninna, come per altro in sala Uander, sale irrefrenabile la voglia di Kim Ki-duk. Così, ieri sera, mi sono lasciato deliziare dal “La samaritana”, pellicola che il regista coreano, eletto ad idolo del Cinerofum, girò nel 2004.
I colori caldi dell’autunno fanno da sfondo a sentimenti e azioni dei protagonisti che sono emozioni continue e svariate per lo spettatore.
Immagini d’autore mostrano i dolci visi delle giovani protagoniste, incoscienti delle loro azioni, giustificate dai disvalori che nella società di questo neonato secolo hanno messo radici troppo profonde per poter continuare a far finta di niente o voltarsi dall’altra parte, convinti che non ci colpiranno mai e tanto meno da vicino. Kim Ki-duk non lo fa e indaga i sentimenti e gli obbiettivi superficiali che animano le nuove generazioni, ma anche quanto, in fin dei conti, sia bello l’amore scelto liberamente per gioco, senza condizionamenti, come pure l’amore commemorativo che ricalca le orme del passato per chiudere un qualcosa che è rimasto sospeso a livello personale e, infine, l’amore di un padre che può trovarsi di fronte a prove impossibili da superare con le mani pulite e la coscienza pura per i condizionamenti che vive nella società a cui appartiene e di come l’unico rammarico che gli rimanga sia quello di non poter continuare ad accompagnare la figlia lungo il percorso della vita, mentre l’odio e la rabbia restano solo un’onirica, e quindi inconscia, paura di chi sa di aver deluso chi la ama, oltre che un tonfo al cuore dello spettatore. Insomma, per Kim Ki-duk tutto è relativo in base ai valori di ognuno.
Il regista mostra l’emotività e la psicologia dei personaggi anche attraverso le loro parole e non solo (o soprattutto) azioni e sguardi come in altre sue opere, seppur quel che spicca sono ancora una volta immagini e riprese ad arte come quella che cattura il sorriso di Jae-yeong quando prende la decisione più difficile, drammatica e, per lei, più sensata, i sopracitati ritratti dell’autunno coreano, le inquadrature atte ad aumentare la suspense nei momenti più di tensione del film, l’espressioni di rabbia e sgomento di un padre verso chi gli ha rubato la vita e l’innocenza della sua piccola Yeo-jin, e così via. Il tutto reso ancora più sublime da una colonna sonora ad hoc.
Riassumendo, una pellicola esteticamente stupenda, dalla trama in continua evoluzione con cambiamenti di direzione imprevedibili e un turbinio di emozioni di vario genere che raggiunge l’apice in un altro grande finale alla Kim Ki-duk che chiude così magistralmente la sua opera.
Idolo.
(Ste Bubu)

1 commento:

  1. Sottoscrivo tutto! Grande Bubu! Grande Ki-Duk! E' lui, è il solito, genio pazzo che disegna favole che son foglie di vita e di morte. Questa storia, come tutte le sue, ha la verosimiglianza dei sogni, nei momenti in cui si vivono.
    Elena chiede: "Si accettano scommesse. Per me la uccide, secondo te?". Io: "Impossibile. Non ci provo nemmeno con Kim".
    E infatti...a chi avrebbe supposto quel finale l'autore sudcoreano rifila due begli schiaffoni all'asiatica, manona aperta in faccia. Sciaf! Uno con la ragazza davanti chinata alla macchina incagliata. Sciaf! Il secondo attraverso il sogno nel laghetto (altri registi avrebbero finito con la musica nelle cuffie...tsz). Realizzando poi...la ragazza cucciola abbandonata con gli occhietti ancora chiusi, gabbiano con un'ala ferita, formica senza una zampa costretta a girare in tondo, la speranza è uno sguardo all'orizzonte.
    Mi hai rubato le parole Bubu, apice.

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