L’ottavo episodio del “Decalogo” di Kieslowski è a tinte un
po’ diverse rispetto ai precedenti.
Le riflessioni su tematiche
religioso - esistenziali, tra le quali quella sul concept della pellicola “Non
dire falsa testimonianza”, vengono proposte attraverso il ragionamento e la
parola delle protagoniste che non lasciano spunti suggeriti dalle azioni.
All’inizio del film Kieslowski
sembra cominciare a compiacersi di questo suo immenso lavoro giunto quasi al
termine, riproponendo in un’austera aula universitaria il dilemma del “Decalogo
2” sotto
altre vesti e con nuovi spunti di riflessione.
Intrigante sempre il giusto e la
drammaticità è presente nei momenti di confronto sul passato tra le due
protagoniste, quando la rievocazione dei ricordi non manca inevitabilmente di
provocare smarrimento ed afflizione.
Ma la pellicola è in generale più
relax e a tinte più chiare rispetto alle precedenti.
Se nel settimo episodio il
regista polacco propone una realtà nella quale, si capisce con l’avanzare della
pellicola, a certi errori non si può porre rimedio, in questo ottavo mostra, al
contrario, una donna che un errore l’ha commesso e lo sa, ma scopre che Dio ha
tramato a suo favore perché questo non ha avuto conseguenze.
La riflessione che Kieslowski
propone sull’ottavo comandamento fondamentalmente è la stessa che propose Faber
anni prima: è giusto non dire falsa testimonianza se ciò condanna alla morte un
essere umano? (Più in generale, quando è lecito mentire?). Persino Dio è
perplesso, stupito o addirittura colto impreparato di fronte a questo dilemma
nel quale due suoi comandamenti vengono a scontrarsi. La sacralità della vita è
più importante di quella della verità? La risposta è talmente oggettivamente
ovvia che la domanda pare quasi retorica e anche la protagonista di questa
pellicola ne è cosciente. La sua gioia per non aver recato dolore con questa
sua scelta sbagliata è visibile in ogni magistrale primo piano del regista che
mostra tutto il dolce affetto che lei prova nei confronti della ragazza, vittima
scampata della sua mancata menzogna. Sentimenti positivi che prevalgono sull’angoscia,
la rabbia e lo sconforto dei precedenti episodi.
(Ste Bubu)
In generale sono d'accorso con te. Però l'angoscia è tanta e i momenti la ricostruiscono alla grande (si pensi al nascondersi della giovane protagonista nella casa del passato, o il momento della comprensione della professoressa in aula). A volte l'ombra sul cuore è davvero cupa. Come anche, come hai scritto tu, sanno di grande speranza (e senso di colpa) i sentiti sorrisi dell'anziana protagonista.
RispondiEliminaL'idea, poi, di immergere l'8° Comandamento nella tragedia ebraica e, quindi, sulle considerazioni conseguenti è un'idea...doverosa.
Oltre a quella che hai raccontato tu, di riprendere il tema del "mentire a fin di bene", già esposto in precedenza dall'autore.
Insomma, tutti bravi a giudicare. Ma la realtà, anzi, l'uomo è tutta un'altra storia.
"Varsavia non è poi così grande".