Ruba tu che rubo io che Ruby tu...


Il settimo episodio del decalogo kiewsloskiano è un "Non rubare" forte e chiaro che colpisce in più direzioni. Si tratta di un drammatico racconto d'amore materno che vi spingerà, tanto per cambiare, sul fertile terreno delle domande.
Grido che colpisce la menzogna, sbagliata di per sé (tranne...) e foriera di dolore. In questo caso le due protagoniste che, a turno, mentono terribilmente.
Colpisce il sopruso, il male sommo, nonché più diffuso: la prima violenza è quella della madre, l'ultima quella di tutti verso la figlia.
Attacca, anche, la pavidità, con una manciata di attenuanti. Non ci sono pistole a minacciare, ma sappiamo quanto possa atterrire il giudizio della società. La ragazza madre, schiacciata dallo sguardo materno, non ha saputo reagire. I malcostumi delle società danno il "via" ad una carambola d'errori che complicherà l'esistenza dei singoli e i loro rapporti.
Non c'è sentenza da parte del regista (la partenza finale in treno ha l'agrodolce sapore di una rivincita-sconfitta), ma il solito desiderio di mettere in moto le nostre idee.
Nei vari decaloghi, o per le immagini, o per le riflessioni (mixate in misura variabile, sebbene
sempre in abbondanza), ci si ritrova di continuo a camminare...
(depa)


1 commento:

  1. Questo settimo episodio mi ha portato a riflettere su cosa significhi veramente essere madre.
    Una madre può essere tale anche se non è quella biologica, ma questo legame, prima o poi, viene fuori prepotente, anche se ciò porta allo sconvolgimento psicologico della figlia e al crollo di tutte le sue sicurezze e punti fermi, di cui una bambina di sei anni ha un fondamentale bisogno.
    Ci si interroga su chi sia “il cattivo” della storia perché è vero che alle volte bisognerebbe fottersene del giudizio della società e tirar dritto per il bene di tutti, ma è anche vero che il primo istinto materno è quello di protezione nei confronti del figlio e anche se, forse come sostiene Majka, ciò è stato suggerito da una voglia egoista, incontrollabile e “disturbata”, come si può condannare?
    Ciononostante alla fine perdono tutti perché certi errori, anche fossero stati fatti istintivamente a fin di bene, sono irrimediabili e, come ha scritto Depa, ne portano altri e altri ancora, mentre Dio, questa volta, può solo osservare da distante quanto questa negligenza e stupidità umana danneggi i suoi piccoli figli. Ania si sentirà per sempre responsabile della fuga di “sua sorella”.

    RispondiElimina