Il cinema maledetto di Stroheim

Dopo un periodo di bagordeggiamenti e un po’ di sana pigrizia, ieri sera ho ripreso il mio percorso di "formazione cinematografica". Erich Von Stroheim (1885 – 1957) è stato uno dei primi artisti della Settima a muovere uno sguardo indagatore e critico nei confronti della realtà umana e sociale e “Greed” (Rapacità) del 1924 è uno dei suoi film più importanti e significativi.

Adattamento del romanzo naturalistico di Frank Norris “Mc Teague”, la storia segue un percorso decisamente all’avanguardia per i fatti e le dinamiche psicologiche proposti.
In questa pellicola ho notato il frequente uso di primi piani e dettagli, la ripetizione di alcune situazioni e scenografie molto curate, il tutto atto a trasmettere con forza allo spettatore la malsanità e la corruzione umana.
Essere schiavi del dio denaro, tanto da esserne ossessionati e ridurre il suo accumulo ad unico scopo della vita a discapito di sentimenti e gratificazioni personali, non penso fosse un argomento così comune e di frequente dibattito in quegli anni come oggi, ma il regista scavò nella psicologia umana e nei disvalori che essa può creare e alcuni primi piani di Mac e Trina trasmettono la follia che ne può derivare, oltre che una sensazione d’angoscia che mi ha accompagnato dall’inizio (la scena in cui Mac si approfitta di Trina sedata) fino alla fine (le scene nella Death Valley che portano ad un inquietante quanto inevitabile finale). Da brividi anche la scena in cui la protagonista giunge al punto di andare letteralmente a letto con il denaro, di cui è avida, che diventa sostituto del sesso, del desiderio e dell’amore.
Non fatevi ingannare dal fatto che si tratta di un film muto: il ritmo è buono e la trama appassionante.
Quindi una pellicola che, in finale, non giudico solo un passaggio obbligato per un aspirante cultore della Settima, ma anche un’opera gradevole, intrigante e coinvolgente che rivedrei, anche se, ad onor del vero, ho visionato la versione tagliata e restaurata di circa due ore, mentre originariamente il film durava ben sette ore… 
Ps: si necessita un approfondimento del direttore...
(Ste Bubu)

2 commenti:

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  2. Grande Bubu! Grazie per avermi spinto a vederlo. Film stupendo. Concordo su tutto (tranne un'inezia: nel bacio rubato io ho visto anche della tenerezza, ma di certo, è come dici tu: quello è un presagio di deviazione). Per il resto solo riflessioni sparse, per nulla organiche come questa pellicola solidissima. Stroheim mangiò cinema (già stuntman con Griffin) e lo assimilò nella carne, come i più grandi: prolungamento di sé. Nelle primissime immagini iniziali il quadro è completo: clima di esasperazione (non c'è solidarietà in miniera, nei pressi dell'oro) e la bontà d'animo del protagonista inquinata da una rabbia repressa sempre pronta ad esplodere (la reazione per l'uccellino). Il primo incontro tra Mac e Trina, in quello studio dentistico perfettamente allestito, rappresenta l'unione tra intensità emotiva e fascino scenografico (le finestre rese vive dalla celebre profondità).
    Come hai scritto, è un film appassionante e moderno, dal montaggio intrigante: in mezzo al primo bacio fa irruzione un treno che, sì, simboleggia, ma soprattutto spezza, come accadrà nel cinema che verrà; dal carattere maturo: scene descrittive cariche significato, come quelle del il matrimonio e successivo banchetto.
    Inoltre, rapidità di montaggio e ritmo narrativo, elevato ed imprevedibile: ad un'ora dalla fine (la versione di 7 ore non esiste più) avviene la rottura con tutto ciò che lo spettatore avrebbe potuto supporre e, quindi, con un cinema solitamente accettato nella sua consuetudinarietà. E' Trina, la moglie, che darà la spinta necessaria all'avvio lungo il piano inclinato, sopraffatta dal denaro. E' Mac che dovrà continuare a lottare, proprio quando sembrava essersi tolto dall'arena, dalla polvere. Sì, è sempre chi viene dalla bucolica campagna (per quanto faticosa) alla città infernale che rovinerà, ma una certa rottura degli schemi si avverte, un'asimmetria rispetto al consueto.
    Ma, soprattutto, grande forza espressiva (le demoniache braccia scarnificate di Trina sulle monete sono allucinanti). Il coltello lanciato da Marco, oltre a stupire lo spettatore per la tecnica che sottende, sbriglierà anche l'odio di Mac Teague creando l'inferno tutt'intorno. Il senso di smarrimento e apprensione bracca l'osservatore come il gatto gli uccellini in gabbia (altro che sogni d'amore). Quando Marco esce da quella porta portandosi dietro tragiche avvisaglie, viene da fare una pausa: risultato notevole, direi. Troppo chiaro il quadro (pur senza i contorni) della tragedia che nulla potrà evitare. Alcol, fame, ira, avidità manderanno in cortocircuito la vita dei due sposini (Jean "Mac" Hersholt è tremendamente espressivo, disperato, posseduto). E' finita. Non lo sanno ancora ma è finita.
    Film tra i più tragici, violenti e sprezzanti ("Non mi ami più Mac?", "Certo" e giù pattoni!).
    Avidità e avarizia, mix diabolico che tutto consuma. Anche la ragione. Il senso della realtà è perso (Trina, quando Marco dice di andarsene per sempre, pensa solo all'agognata fine delle questue; si preoccupa di chiedere, al marito appena licenziato, la supposta misera liquidazione; infine, ipotizza lauti guadagni nel vendere il simbolo del loro amore).
    Insomma tanta carne al fuoco. E per nulla avvicinabile a quella comprata dalla moglie ormai in preda alla follia ("Manco i cani"). C'è anche il dolce: quell'inseguimento nella Valle della Morte, con le sue beffe finali: l'acqua, le manette (in mezzo la sequenza del cavallo morente e le inquadrature su Marco Colpito!) e l'ultimo guizzo d'umanità, ormai insanguinato e inutile ("ring composition" rispettata con eleganza e ferocia: palmo di mano, artiglio di rapace).
    Tutti morti assieme all'oro. Non scrivo quella parola...mi limito a: Rapacità è MERAVIGLIOSO.

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