Non si scherza con la mente

Nella bella cornice del Palazzo Reale, proprio sotto l'oro della Madunina, ieri sera io ed Elena a vedere l'ultimo film del regista statunitense Paul Thomas Anderson: "The master", del 2012. Sufficienza raggiunta nel complesso, con menzione speciale per l'interpretazione del protagonista, Joaquin Phoenix (Coppa Volpi), autentico catalizzatore emotivo della pellicola.

Il giovane regista, nato nella Città degli Angeli nel '70, continua a convincere a 3/4. Come per gli altri film già incontrati lungo il 'Rofum, la nebbia mentale che avvolge il protagonista è sapientemente ricreata, riuscendo, con un pizzico di sforzo da parte dell'osservatore, a coinvolgerlo e fargli saltare la staccionata, cogliendo in tutta la sua angoscia quanto le parole possano farsi proiettili, quanto sia pericoloso scherzare con la psyche (e con l'alcol). Una parola, un conforto può sì accompagnare la malattia, non certo curarla. Sì può tenere per mano il malato di mente lungo la passeggiata a strapiombo sul burrone, è possibile sorridergli e far sì che guardi sempre di qui; se ci si fa prendere dall'euforia, si può commettere l'errore di distrarsi, assestandogli quell'affettuosa e mortale pacca sulla spalla. Giù.
Quello raccontato da P.T. Anderson è un viaggio interessante e destabilizzante, senza cadute rovinose. La fotografia e la colonna sonora, come quelle pipette magic ball, tengono la pellicola sospesa in un'atmosfera di inquietudine e di tensione tra razionale e non, tra sanità e malattia, tra successo e fallimento. Complice, come già detto in introduzione, la superlativa prova di Joaquin Phoenix, muscoli e nervi orchestrati come fossero dita, espressioni e movenze che precipitano anche il pubblico in quello stato di deriva (ottimo doppiaggio, aggiungerei). Se anche il suo "dirimpettaio" Philip Seymour Hoffman offre una gran prova delle sue capacità interpretative, si capisce come la pellicola possa colpire il pubblico. 
Chiaramente, soffermandosi sulle baggianate pronunciate dallo stravagante promulgatore de "La Causa", si corre il rischio di guardare il film con un costante e fastidioso prurito. Cosa che, se si parla di "Straparlogy", suona quasi doverosa; mentre, inspiegabilmente, se si parla di Gesù, Maometto, Budda, Confucio o altri tizi così, assume invece i fascinosi toni della blasfemia. Vallo a capire l'uomo.
(depa)

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